giovedì 17 novembre 2022

#RoFF17: L’ombra di Caravaggio - Recensione

Arrivato in sala il 3 novembre e presentato in anteprima alla 17° edizione della Festa del Cinema di Roma, L’Ombra di Caravaggio porta in scena la vita di Michelangelo Merisi cercando di narrare la storia dietro le sue opere.

La pellicola di Michele Placido romanza sulla vita del famoso pittore dal momento del suo esilio fino alla sua morte. Per poter raccontare i vari risvolti fa in modo che siano i personaggi che lo hanno accompagnato nel corso del tempo a dire qualcosa di più su di lui. In una modalità quasi inquisitoria, ai limiti con un finto documentario fatto di interviste, tassello dopo tassello vengono inseriti i particolari della vita dell’uomo. I quadri prendono, così, vita attraverso i movimenti degli attori in scena e la reale protagonista diviene la luce, esattamente come succede nei quadri del Merisi.

Sappiamo tutti che le opere di Caravaggio sono sempre state caratterizzate dal suo uso del vero e della luce, sono suggestive e ciò che viene trasmesso anche durante la pellicola. Gli aspetti interessanti di questo film sono, difatti, l’attenzione che è stata data alle luci, alla fotografia e ai costumi. Davanti a un’interessante ricostruzione pittorica, infatti, non si può dir molto, ma i nodi vengono al pettine nel guardare le differenti scelte che sono state fatte nell’esecuzione del tutto. Se da una parte la luce è protagonista, dall’altro l’ombra diviene prevaricante. Questo è spoiler, quindi fermatevi qui dal leggere il resto dell’articolo. L’ombra diviene carne e ossa attraverso il personaggio interpretato da Louis Garrel, un inquisitore mandato dal Papa per poter cercare di capire se Caravaggio fosse o meno degno del perdono, così da potergli permettere il ritorno nella Capitale.

Luce e ombra, dunque, si combattono per poter cercare di disvelare quanto più di vero e profondo possa esserci nella vita del pittore, ma il tutto viene rovinosamente interpretato da Riccardo Scamarcio. Eccedendo un po’ troppo spesso di over acting, l’attore viene abbondantemente surclassato dall’interpretazione di Garrel che, invece, riesce a doppiarsi senza troppe difficoltà, dimostrando una buona padronanza della lingua italiana.

Dobbiamo, comunque, soffermarci sul doppiaggio e in particolare sul mixaggio del suono, perché senza alcuna motivazione ben comprensibile a volte l’audio sembra una registrazione inviata con Whastapp. È inaccettabile una cosa del genere da un film che ha avuto un budget spropositato per poter essere realizzato.

Le opere del Caravaggio vi emozioneranno, non lo mettiamo in dubbio, ma questo film è decisamente sotto la media se inserito all’interno di un panorama quasi competitivo. Ci sono moltissimi errori dal punto di vista tecnico, come nel montaggio perché a un certo punto l’ombra acquisisce poteri sovrannaturali tanto da “teletrasportarsi” in una scena proprio a causa di quella che potremmo definire una disattenzione di montaggio. Sfidiamo chiunque a dire che ciò fosse voluto, quando accade solo una volta in tutto il film e quindi non vi è nulla a rendere plausibile tale momento.

Se Placido fosse stato più attento al film che stava realizzando e un po’ meno al suo ego, forse, questa pellicola poteva venire un po’ più accattivante. In questo modo non ci siamo proprio, un bel potenziale sprecato.

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