lunedì 7 novembre 2022

#Musica: Gli occhi dell'Arno

Nella notte del 4 novembre 1966, dopo giorni continui di maltempo su tutta l’Italia, la Toscana fu colpita da quello che ancora oggi è uno degli eventi alluvionali più gravi che hanno colpito il nostro Paese.

Furono completamente sommersi dall’acqua i comuni di Firenze, Pisa, del Casentino, del Valdarno, del Mugello, della Maremma, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Lastra a Signa, Signa, Empoli, Pontedera, e Grosseto.
Strariparono non solo l’Arno, il Bisenzio, e l’Ombrone ma anche tutti i torrenti e fossi minori.
Nello stesso periodo anche il Veneto subì lo straripamento del Piave, del Brenta e del Livenza; il Friuli dovette arrendersi al Tagliamento e il Trentino all’Adige.

Noi ai tempi non eravamo nati, ma siamo venuti a conoscenza del disastro nel 2005, quando Marco Masini pubblica l’album “Il giardino delle api”. All’interno è contenuto il brano “Gli occhi dell’Arno”, dove Marco racconta l’accaduto con gli occhi dello stesso fiume, associandolo però al suo vissuto, in quanto aveva appena due anni.

Da lì è iniziata la sfilza delle domande poste ai nostri genitori, anche se erano troppo piccoli e distanti dalla Toscana per poter ricordare. Non tutti, però, perché la madre di una compagna di classe di Frè – che sta scrivendo l’articolo – all’epoca studentesse universitaria, partì come volontaria per aiutare chi ne avesse bisogno, facendo parte dell’esercito rinominato “angeli del fango”.

L’Arno di barche ubriache di sole
ti sorrideva tagliando a metà
la tua bellezza rubata da un film quarant’anni fa.
L’Arno con l’abito al tuo matrimonio
e un anno dopo quel sessantatré
io mi affacciavo alla vita in orario
e la casa in Santo Spirito
com’era piccola ma sull’Arno in braccio a te
comandavo la città.

Dove sarà quell’albero che giocava in giardino con noi?
La verità di un attimo ogni giorno più viva che mai.
Dove sarai anche tu?
Perché non mi ricordo più
quanto mi amavi.

Ma l’Arno a due anni gridando il suo nome
prese la strada della libertà
e sotto la pioggia di un cielo di rame
abbracciò Firenze immobile.
Le nostre favole, le paure dentro me
quella tua felicità.
Dove sarà quel tavolo che parlava in cucina con noi?
Che non mi ha visto crescere perché l’Arno ha rapito anche lui
diglielo almeno tu
a questa isterica tribù
che siamo vivi.

Nell’autunno del ’66 in Toscana piovve senza sosta dal primo novembre e l’Arno si ingrossò a vista d’occhio.     
Il 3 novembre iniziò a nevicare sul Casentino e sul Mugello, avvenimento che sembrerebbe non contare nulla, ma che sarà la causa maggiore del disatro che si abbatterà.
Nel pomeriggio la pioggia aumentò, divenendo un temporale. I comandi militari avvertirono fin da subito il Ministero della difesa e dell’interno, per seguire con maggiore attenzione la situazione. Gli uffici di Roma risposero però di rimanere tranquilli, senza sfociare in inutili allarmismi.
Al tramonto il maltempo non accennò a diminuire, anzi. inaspettatamente le temperature si alzarono di cinque gradi, facendo sciogliere la neve da poco scesa, che ingrossò maggiormente i torrenti. Per le istituzioni, però, altro aveva la precedenza: in serata i consiglieri comunali, gli assessori e il sindaco di Firenze Pietro Bargellini si ritrovarono in riunione all’Hotel Minerva per discutere solo di questioni politiche.

Alle 22:00 i fiumi e i torrenti del Mugello e della provincia di Arezzo cominciarono a straripare, partirono più di cento uomini tra vigili del fuoco, carabinieri e il reparto della Polizia di Stato. Un’ora dopo arrivarono già le chiamate dai comuni delle campagne bagnate dall’Arno, dove cominciarono ad allagarsi garage e scantinati. Allo scoccare della mezzanotte l’Arno irruppe nel Casentino, nel Valdamo Superiore, a Montevarchi, Figline Valdarno, Incisa in Val d’Arno, Rignano sull’Arno, Pontassieve, Le Sieci, Compiobbi ed Ellera. Vennero interrotti i collegamenti con il sud Italia e in un solo quarto d’ora non fu più possibile comunicare con il Casentino. Nel frattempo l’Arno staripò anche a Poppi.

All’1:00 di notte l’Arno continuò il suo viaggio, allagando completamente i comuni di Lastra a Signa. Vennero interrotti anche i collegamenti con la Romagna, con Firenze ed Empoli. Nel capoluogo toscano, nel frattempo, poliziotti, ingegneri del Genio Civile, sindaco e prefetto si interrogarono se fosse il caso o meno di dare l’allarme in città. Scelsero il silenzio, speranzosi che in breve tempo la pioggia cessasse del tutto.
Solo mezz’ora dopo, però, l’acqua cominciò a fuoriuscire dalle fogne fiorentine, partendo da Piazza Mentana, in pieno centro storico.
Alle 2:00 sfociò il torrente Mugnone, affluente dell’Arno nella città di Firenze, allagando il Parco delle Cascine, il più grande parco pubblico cittadino, l’ippodromo e lo zoo, provocando la morte di numerosi animali.
L’Arno divenne presto indomabile e la gente iniziò a fuggire come poteva sui tetti delle proprie abitazioni. La pressione della corrente fece esplodere le fogne, e il fiume continuò la sua corsa verso i comuni e i quartieri limitrofi.

Quando alle 3 del mattino l’acqua cominciò a fuoriuscire persino dai muri, la Prefettura e Palazzo Vecchio chiamarono il Ministro dell’Interno per ricevere aiuti da Roma, ma nella Capitale sembravano non capire appieno il problema.     
Ricordiamoci che stiamo a metà anni Sessanta: social e videofonini non esistevano e le comunicazioni, dato il mal tempo, funzionavano a singhiozzi.
Alle quattro sempre più comuni si arresero alla furia dell’acqua, nella notte scesero tra i centoottanta e i duecento litri su m², saltò la corrente elettrica e oltre all’acqua una nuova minaccia si abbatté nella mente dei cittadini: le frane.

A Firenze, alle prime luci dell’alba, si lavorò per salvare vite umane, opere d’arte, documenti storici, libri, visto che il Duomo, le Chiese e la Biblioteca Nazionale Centrale non vennro di certo risparmiate.
Alle 7:00 del mattino il resto d’Italia cominciò a svegliarsi, ma non sapeva ancora quello che stava effettivamente succedendo in Toscana. Marcello Giannini, al tempo caporedattore della sede Rai fiorentina, dopo essere stato continuamente ignorato da Roma, durante il giornale radio decise di far calare il microfono per far sentire a tutti il rumore dell’Arno che impazzava per il centro città.
Alle 9:00 l’acqua raggiunse i primi piani delle abitazioni, ma almeno iniziarono ad arrivare i primi aiuti. Alle 12:00 altri comuni e quartieri furono accolti dall’acqua, a Firenze i carcerati scapparono dalle celle per mettersi in salvo, ottenendo il supporto e l’accoglienza dei cittadini che si erano rifugiati sui tetti.

La popolazione era spaventata, infreddolita, affamata, stanca. C’è chi doveva fare i conti con le proprie ferite fisiche senza poter accedere in fretta agli ospedali e chi non sapeva che fine avessero fatto i propri amici e famigliari. Eppure nessuno di loro esitava ad aiutare uno sconosciuto.
Solo alla sera, dopo quasi ventiquattro ore, l’Arno si placò su Firenze, ma solo per scorrere verso Empoli.
La Toscana combatterà la sua battaglia inerme per altre ventiquattro ore, fino alla sera del 5 novembre, quando si potè dire che il peggio era passato.

Mentre l’Arno se ne va
dove sarà quell’angelo che ha salvato qualcosa di noi
e mi ha lasciato un compito: ricordare quei piccoli eroi
che hanno una lacrima in più
la stessa che lasciasti tu
sui loro nomi.

Guardo Firenze dagli occhi dell’Arno.


Bisogna pensare che all’epoca non esisteva la Protezione Civile e chi decise di mobilitarsi venne considerato a tutti gli effetti un vero e proprio eroe, con il nome di angelo del fango.     
Non esisteva un’adeguata preparazione alle tragedie, di conseguenza mancavano organizzazione e mezzi. Inoltre tra i comuni cittadini non tutti erano capaci di prestare operazioni di primo soccorso.

Nonostante questo, come accennato prima, i cittadini si sono aiutati come hanno potuto, e i soccorsi, nonostante le comunicazioni e le strade interrotte, non sono di certo mancati, arrivando dai comuni meno colpiti con gommoni, erano per lo più bagnini esperti, e nei giorni successivi da ogni parte d’Italia. Esperti e comuni cittadini si adoperarono per salvare e pulire numerose opere d’arte; altri pensarono a sistemare e aggiustare le palazzine, i negozi, le scuole, tanto che Firenze tornò alla normalità in poche settimane, e a Natale papa Paolo VI celebrò la messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.    
Oltre che agli aiuti economici nazionali, arrivarono aiuti anche dagli Stati Uniti, dalla Croce Rossa tedesca, dall’Unione Sovietica, dalla Cecoslovacchia e dall’Ungheria.

Il numero delle vittime viene reso noto solamente nel 2006: furono quarantasette le persone che persero la vita in quelle tragiche ore, per lo più persone anziane impossibilitate alla fuga. Morirono anche giovani e  bambini, portati via a causa delle frane, della corrente e delle esplosioni dei depositi di carburante.

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