martedì 29 novembre 2022

#Libri: Vorrei che fossi qui

In questa premessa parlerò in prima persona, perché ci tengo particolarmente.
Vorrei che fossi qui”, di Jodi Picoult, non è stato tra i libri che ho scelto personalmente, sarebbe dovuto andare a un’altra persona, ma come sempre accade nella vita, sono le situazioni più inaspettate quelle a essere considerate le migliori.     
Anche se la Fazi Editore, che ringraziamo sempre di cuore, lo ha mandato in anteprima, ho potuto leggerlo solo qualche giorno dopo la sua uscita, il 25 ottobre 2022.    

Ebbene, nonostante sia appena iniziato novembre mentre sto scrivendo questo articolo e manchino quindi due mesi, sei o sette libri da leggere, posso dire con orgoglio che il libro della Picoult ha vinto il mio personalissimo premio di “miglior libro del 2022”, e nell’articolo spiego il perché.

Voglio anche ringraziare chi ha dovuto rinunciare a leggere il libro, così da portelo fare io. Grazie, davvero!

Diana O’Toole è una donna che ha sempre saputo cosa fare nella vita: lavorare nel campo dell’arte rimanendo a New York, sposarsi entro i trent’anni e trasferirsi nei sobborghi per crescere in tutta tranquillità due figli. Ha condiviso fin da subito questi suoi obiettivi con il fidanzato Finn, un medico specializzando in chirurgia.
I due decidono di prendersi una vacanza dal loro lavoro quando Diana è a un passo dalla promozione, anche se non è certa fino all’ultimo; nonostante il suo essere stacanovista, però, Diana non vuole rinunciare alle Galàpagos perché sa che lì Finn le chiederà di sposarla. Tutto è già deciso, insomma, eppure…
Eppure un virus proveniente dalla Cina decide che è il momento di mettere il mondo in pausa. Finn è chiamato a lavorare in ospedale con turni estenuanti, Diana e tutto il mondo dell’arte potranno attendere il loro destino, vivendo di aspettativa.
Finn non vuole che Diana rinunci al viaggio, per questo la convince a partire da sola , anche se si ritroverà comunque rinchiusa in un’isola dalla lingua straniera e sconosciuta, impossibilitata a tornare indietro e senza un vero e proprio legame con il suo mondo, visto che la connessione internet è praticamente inesistente.
Diana è completamente sola, ed è proprio grazie a questa solitudine se riesce a guardarsi dentro e cambiare rotta nella sua vita.

Ci fermiamo qui con la trama, per addentrarci in ciò che il libro ci ha insegnato. Oltre ai numerosi riferimenti ai Beatles, che abbiamo amato alla follia, leggendo la storia di Diana ci siamo totalmente rivisti ai primi momenti della pandemia, quando ogni nostra certezza è andata distrutta. Ne abbiamo parlato più e più volte, non è stato un periodo facile, come crediamo non lo sia stato per tutti. Ansie, attacchi di panico, sentirsi spersi anche se in casa con amici e/o parenti, ci siamo ritrovati catapultati in un mondo apocalittico, dove ogni giorno era uguale e diverso allo stesso modo.

Come Diana, abbiamo visto con occhi increduli una città totalmente deserta, ricordiamo il silenzio surreale all’ombra del Colosseo in primavera inoltrata, quando abbiamo potuto avventurarci oltre il nostro quartiere; proviamo forse un po’ di nostalgia per la fila inesistente all’entrata di San Pietro. Come Diana ci siamo costretti a lasciare andare tutto ciò che pensavamo di sapere su di noi, mettendoci in gioco e cercando di utilizzare il momento in cui il mondo era in stand-by per poterci riavviare.

Cosa conta davvero? La vita si può programmare, o è solo una nostra illusione di poterla controllare? Lo sapete, grazie alla pandemia è nato questo blog, abbiamo cambiato il modo di pensare, ci siamo avvicinati alla meditazione e al dare importanza solo al momento che si vive.
Tutto potrebbe interrompersi da un momento all’altro, e i giochi di potere internazionale degli ultimi mesi lo stanno dimostrando. Cos’è, quindi, che può spingerci ad alzarci dal letto? A dare valore a un piatto cucinato, al nostro respiro, ai nostri pensieri?
In questo viaggio immobile e forse un po’ psichedelico di Diana, troviamo anche le nostre risposte, ripercorrendo quello che è stato il nostro percorso in pandemia, essendo anche noi sopravvissuti al Covid-19, sia fisicamente che psicologicamente.

Jodi Picoult descrive in maniera minuziosa lo stress dei medici, che si sono ritrovati improvvisamente a lavorare su un virus sconosciuto e con turni infiniti. Ci racconta dei pazienti intubati e lasciati il più delle volte da soli perché l’intero staff non bastava a controllare i malati che entravano a migliaia e uscivano vivi in poche decine, il tutto mentre il presidente americano Trump – e non solo lui – sbeffeggiava la situazione attribuendo al virus la definizione di: “semplice influenza”.
Se adesso possiamo parlare di allentare e lasciare andare del tutto le misure di sicurezza, è perché tra vaccini e cure meglio definite, il virus è diventato endemico, ma non possiamo dimenticare quello che è stato i primi mesi, perché sminuire l’inizio vorrebbe dire cancellare un importante tassello della nostra vita.

È una storia di sopravvissuti, ma è anche un modo per ricordare chi non ha avuto la fortuna di avere una seconda possibilità, perché nonostante età e buona salute, il virus ha avuto la meglio.

Vi assicuriamo che riuscirete a stento a prendere delle pause dalla lettura, perché verrete totalmente immersi nella storia di Diana e Finn, nel loro amore e nelle molteplici opportunità che ogni giorno ci offre. Per gli amanti del cinema, sappiate che Netflix sta lavorando al film, quindi avete un motivo in più per leggere il libro!

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