sabato 26 novembre 2022

#DivinaCommedia: Canto XIX

Eccoci al nostro appuntamento mensile con la Divina Commedia. Oggi ci dedichiamo al diciannovesimo canto dell’Inferno, quello dedicato ai simoniaci: peccatori, per lo più appartenenti al clero, che tramite il loro potere ecclesiastico hanno venduto e comprato beni sacri (come le indulgenze) per arricchimento personale.

Al solito vi ricordiamo che analizziamo il canto solo ed esclusivamente dal punto di vista esoterico, comparandolo con quello che è stato ed è il nostro cammino spirituale.
Questi articoli, insomma, servono solo come spunti di riflessione su se stessi, dove ogni protagonista che incontriamo è una parte di noi.

O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci

per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.

Già eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch’a punto sovra mezzo ‘l fosso piomba.

O somma sapïenza, quanta è l’arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtù comparte!

Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri,
d’un largo tutti e ciascun era tondo.

Non mi parean men ampi né maggiori
che que’ che son nel mio ben San Giovanni,
fatti per loco d’i battezzatori;

l’un de li quali, ancor non è molt’anni,
rupp’io per un che dentro v’annegava:
e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni.

Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava.

Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.

Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era lì dai calcagni a le punte.

Dante non perde tempo e fin da subito ci mostra a quale peccato andremo incontro, citando il Mago Simone. Costui è un personaggio che troviamo negli Atti degli Apostoli (8,9-20): è un famoso mago della Simonia che vedendo gli Apostoli praticare miracoli attraverso lo Spirito Santo, dopo essersi convertito, chiede a Pietro di poter comprare tale potere. La risposta di Pietro è molto dura: «Alla perdizione tu e il tuo denaro! Poiché hai creduto di ottenere il dono di Dio con l’oro». Così pecca di simonia chiunque provi a dare qualsiasi potere spirituale in cambio di denaro.

Al tempo di Dante, ovviamente, tale peccato riguardava per lo più la Chiesa, e non possiamo chiudere gli occhi pensando non sia più così, anzi: tanti sono ancora gli esempi che potremmo fare, ma non ci basterebbe l’intero spazio di un articolo. Possiamo aggiungere, di questi tempi, che tale peccato è praticato anche da sedicenti guru, Maestri che “offrono” chissà quali corsi di meditazione in cambio di denaro, anche se si nascondono dietro la parola “offerta”. Piccola polemica, ve la buttiamo là: se certi gruppi accettano offerte, perché devono essere per forza di denaro?

Andando avanti, Dante ci descrive la scena: le pareti sono sempre di roccia, e abbiamo già spiegato nel canto precedente il suo significato. Ora, però, le pareti sembrano –utilizziamo questo termine perché per quanto possiamo credere sia impossibile scoprire qualcosa di noi, in realtà non lo è mai– ancora più difficili da poter accedere.
Alle pareti sono presenti dei fori, che a Dante ricordano le fonti battesimali, di uguali dimensioni dove all’interno sono ospitate le anime dei peccatori. Si possono vedere solo le gambe degli ultimi, perché il resto del corpo sprofonda dall’altra parte del buco. Una fiamma lambisce senza tregua i loro piedi, che per questo motivo non smettono di muoversi.

«Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando più che li altri suoi consorti»,
diss’io, «e cui più roggia fiamma succia?».

Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti
là giù per quella ripa che più giace,
da lui saprai di sé e de’ suoi torti».

E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
dal tuo volere, e sai quel che ti tace».

Allor venimmo in su l’argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stanca
là giù nel fondo foracchiato e arto.

Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dispuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.

Dante è attratto dalla fiamma che più brucia rispetto alle altre e chiede a Virgilio a chi appartenga quell’anima. La Guida risponde al Poeta che se vuole saperlo, deve andare lì a chiedere e, senza pensarci su, lo prende in braccio per aiutarlo nel cammino.

Notiamo ancora una volta che Virgilio, a rappresentazione della nostra guida interiore, non ci lascia mai soli nei momenti di difficoltà; anzi, quando siamo attirati nel nostro profondo da qualcosa che brucia con maggior risalto, e che quindi potrebbe davvero portarci del dolore se decidiamo di avvicinarci, non ci abbandona, bensì ci porta alleggerendoci l’arduo compito.

Certo, quando il nostro Cammino è iniziato da un po’, ci viene facile comprendere che la Guida interiore è lì proprio per noi. Ma all’inizio è difficile crederlo, ci fidiamo, sì, ma rimaniamo ancora leggermente scettici.
Non sappiamo a che punto del Cammino voi siate, ecco perché è bene ricordare ciò.

«O qual che se’ che ‘l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia’io a dir, «se puoi, fa motto».

Io stava come ‘l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui per che la morte cessa.

Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto. Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».

Per poter sentire meglio la voce del peccatore, Dante si avvicina al foro, tanto da sembrare il confessore di chi si è macchiato d’omicidio. All’epoca, infatti, gli assassini erano condannati a morte per “propagginazione”, cioè con il capo all’ingiù, posto in una buca. Il confessore per ascoltarli deve avvicinare l’orecchio alla fossa, prima che la morte avvenga per asfissia.

L’anima, sentendolo avvicinare, pensa sia Bonifacio VIII (1230-1303), Papa dell’epoca, in carica dal 1294. Ricordiamo che queste anime conoscono il passato e il futuro, ma non riescono a vedere il presente. Perché quando stiamo all’Inferno tendiamo a pensare reale ciò che abbiamo passato e ciò che potrebbe accadere, proprio non riusciamo a vivere nel presente, nell’attimo che ci è stato donato e quindi smetterla di agire per impulso.

Non vogliamo parlarvi della denuncia che Dante fa su Bonifacio VIII – suo acerrimo nemico, sia dal punto di vista politico, è lui il responsabile della cacciata dei Bianchi da Firenze, che personale – perché questo è presente su ogni libro o sito internet dedicato alla Commedia.
Ciò che vogliamo mostrarvi è quanto, anche qui, la logica e l’intelletto non hanno nulla a che vedere con la spiritualità.

Proprio come successo nel Canto X, quando vogliamo capire il perché delle cose, fare uno più uno non risolve molto. Per l’anima, che fu Papa, è logico pensare che chi sta arrivando alle sue spalle, sia un altro Papa macchiato dei suoi stessi peccati. Tale incomprensione è sì ironica, ma fa molto riflettere su come spesso diamo per scontati certi nostri atteggiamenti, reputandoli come conseguenza di qualcosa con cui, invece, non hanno nulla a che vedere.
Il lato ironico di tutto ciò è che quando smettiamo di raccontarcela, vedendo il reale senso di qualcosa, ci scappa sempre da ridere.

Tal mi fec’io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.

Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
‘Non son colui, non son colui che credi’».;
e io rispuosi come a me fu imposto.

Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: «Dunque che a me richiedi?

Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;

e veramente fui figliuol de l’orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l’avere e qui me misi in borsa.

Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra patti.

Non possiamo non notare che sia Virgilio a suggerire a Dante come rispondere: “Digli presto che non sei chi pensa tu sia”, parafrasando. La nostra Guida, se la ascoltiamo con attenzione, ci mette sempre sull’attenti, non ci fa perdere tempo, ci scuote, ci dà tutti i segnali giusti per portarci a comprendere che ciò che crediamo, non è ciò che è.

Dalla risposta dell’anima Dante scopre di star parlando con Niccolò III (1216 circa-1280), Papa dal 1277. Nasce come Giovanni Gaetano Orsini e spiega il perché si è meritato tale condanna: per tutto il mandato ha favorito i suoi famigliari in cambio di favori e denaro, ma anche qui non proseguiremo con il racconto storico, perché lo potete facilmente trovare ovunque.

Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
allor ch’i’ feci ‘l sùbito dimando.

Ma più è ‘l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi:

ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.

Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge».

Niccolò III conferma che in quel fosso finiscono tutti i Papi che hanno commesso la simonia e che quando viene il prossimo, in questo caso Bonifacio VIII, quello che c’era prima sprofonda giù assieme agli altri. Possiamo quindi immaginare un enorme fosso senza fondo, ma cosa vuol dire, se lo vogliamo rapportare al nostro cammino interiore?

Come già detto nel canto precedente, stiamo in quella parte di Inferno che riguarda tutti noi, e che pecchiamo più volte al giorno, tutti i giorni. Ecco perché ci sono tanti buchi nel muro, e ognuno di essi contiene e conterrà migliaia di anime, sono tutte le volte che commettiamo lo stesso peccato.

E prima che possiamo domandarci: “Ma io non sono un ecclesiastico, cosa c’entro con la vendita e beni spirituali?” è bene fare un piccolo esame di coscienza: quante volte compriamo portafortuna? Oggetti che possono servire a portarci, oltre alla fortuna, anche serenità e qualsiasi altra emozione positiva? Quante volte diciamo a chi abbiamo davanti: “Per favore, fai questo per me, e io in cambio sarò felice. E tu in cambio ti sentirai meglio, te lo assicuro.
Ecco, se vogliamo andare oltre il concetto totalmente cattolico, scopriamo che non c’è alcuna differenza tra quanto facciamo e il pagare di tasca propria in cambio di un’indulgenza nella vita dopo la morte, non credete?

Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle

Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non ‘Viemmi retro’.

Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l’anima ria.

Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito.

E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,

io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi.

Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;

quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque.

Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!».

In questi lunghi versi c’è tutto lo sdegno di Dante, che come in una sorta di scambio dei ruoli, fa la sua predica a Niccolò III e di come il suo operato, uguale a quello degli altri dannati già presenti e di quanti arriveranno, sia la primissima causa dello schifo presente nella Chiesa.

Andando oltre possiamo anche dire, senza giudizi, né senza sentirci in colpa, che ricattare in qualsiasi modo il prossimo per un ritorno emotivo positivo rientra a tutti gli effetti tra i simoniaci.

Vogliamo farvi un altro appunto sulla predica di Dante: il Poeta sostiene che il peccato di simonia sia iniziato con Papa Silvestro I (285-335) quando Costantino (274-337)  dopo la miracolosa guarigione per opera del Papa, per riconoscenza, consegnò Roma nelle mani della Chiesa. Questo ha portato l’Istituzione ecclesiastica a cercare di prendere sempre più potere materiale, ma la colpa, secondo Dante, non è da attribuire all’Imperatore Romano – che infatti troveremo nel Paradiso – , quanto alla stessa Chiesa. 

Attenzione: sappiamo che l’episodio è da considerarsi un falso storico, ma all’epoca di Dante è dato per vero. Ciò comunque non cambia il significato esoterico che gli abbiamo attribuito e che andiamo a spiegare nel prossimo paragrafo.

Il commercio è uno scambio di averi, ecco perché nell’introduzione vi abbiamo detto che il peccato è commesso da chi vende e compra beni sacri. Ma nelle parole di Dante capiamo anche che non sempre siamo dalla parte dei carnefici, perché è nella natura umana cercare qualcosa ci dia coraggio, sicurezza, e quindi è normale cadere nella trappola che tali sentimenti possano essere comprati. Dovremmo considerarci peccatori quando lo utilizziamo per assoggettare gli altri al nostro volere.

E mentr’io li cantava cotai note,
o ira o coscïenza che ‘l mordesse,
forte spingava con ambo le piote.

I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse.

Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese.

Né si stancò d’avermi a sé distretto,
sì men portò sovra ‘l colmo e l’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto.

Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco.

Indi un altro vallon mi fu scoperto.

Virgilio è fiero delle parole di Dante, che sembra aver trovato così la consapevolezza di quanto ha visto. Proprio come fatto prima, lo riprende in braccio per riaccompagnarlo nella salita che porta al ponte dove stavano prima.
Davanti ai loro occhi si apre una nuova bolgia: quella dei maghi e degli indovini, ma di questo parleremo il prossimo mese.


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