martedì 19 aprile 2022

#Pensieri: Iris

Stamattina mi sono svegliata con “Iris” dei Goo Goo Dolls in testa, e non è più andata via fino a quando mi sono messa a leggere parola per parola il testo. Lo conoscevo già, ma non mi sono mai soffermata sul suo significato più profondo, perché al primo ascolto sembra una canzone d’amore, di quelle romantiche che ti fanno pensare: “Wow, quanto può amare questa donna tanto da voler rinunciare all’eternità per lei?”.

Non è un caso che questo brano sia affiorato proprio oggi, 5 aprile, dopo una domenica a messa con Silvia e la puntata di ieri della radio, anche se il perché non è da ricercare dalle parole andate in onda, o pronunciate nel privato con gli altri. Non voglio scrivere troppo di ciò che è accaduto in profondità in me stessa, sia perché sono molto riservata, sia perché non credo vi interessi sapere la mia vita personale.
Rileggendo e riascoltando la canzone con maggiore attenzione, meditandola così come ho meditato ieri, sul tragitto metro Termini-Laurentina a seguito di una frase tradotta male dal filtro del mio Ego, mi sono accorta di quanto amore io stia provando per me stessa e di conseguenza per gli altri.

Vivo nella vibrazione dell’amore incondizionato da inizio 2022, quindi non vi lascerò i link di articoli passati dove ne ho già parlato, solo perché sono veramente tanti e perché non credo abbiano importanza, credo basti anche solo questo. Se vi va, potete tornare indietro, scorrendo il blog.
Il senso di “Iris” (per me, ma credo non serva specificarlo, visto che stiamo nella categoria Pensieri) è di una persona che si spoglia di ogni suo filtro per trovarsi davvero.

And I'd give up forever to touch you     
(e rinuncerei all’eterternità per toccarti)
'Cause I know that you feel me somehow
(perché so che in qualche modo mi senti)
You're the closest to heaven that I'll ever be
(sei molto più vicina al paradiso di quanto io potrei mai essere)
And I don't want to go home right now
(e non voglio andare a casa proprio ora)


Attenzione: credo nella reincarnazione e forse questo paragrafo è più per chi ci crede. Non mi interessa dare prove scientifiche del fatto che dopo la morte ci sia un’altra vita, io per prima non ne ho bisogno, figuriamoci se me le vado a cercare per qualcun altro.
Alle altre Muse, in questi giorni, ho ripetuto una frase che mi è stata detta da una mia sorella spirituale: “Se sei qui, in questo luogo, è perché hai più karma positivo”.
Sempre oggi, guardando un video della ScuolaNonScuola su YouTube (dove è presente anche la cover di questa splendida canzone; ho messo il link del canale e non del video perché sono video che vanno visti secondo la propria volontà, non perché ve lo dice qualcuno) Pier Giorgio ha ripetuto più o meno la stessa cosa. Non riporterò le sue parole esatte, ma solo il senso: se hai qualcosa che in questa vita ti spinge più dell’avere una casa, un lavoro, dei figli… se sei qui perché vai oltre a tutto questo, ringrazia la vita: hai un karma leggero. Questo vuol dire che hai già vissuto parecchie vite, così tante da aver creato un Ego, averlo appesantito e cominciato a spogliarti di lui.

Ecco, da bambina – lo sapete, ne parlo spesso – parlavo poco e osservavo tantissimo. Dentro di me mi chiedevo se davvero per gli altri la vita fosse solo casa-lavoro/scuola, o se fingessero per insegnarmi qualcosa. Per me era inconcepibile rimanere solo sul piano materiale – lo è ancora, ma sto imparando – tanto che mi sentivo come George Harrison nella sua: “Living In The Material World”, costretta qui in un qualche modo senza capirne il perché.
Col passare del tempo questo perché si è fatto leggermente più chiaro: c’è da scoprire chi realmente sono. E torno alla me bambina, che andava dei genitori chiedendo loro: “Ma io, chi sono?”. Loro, poverini, mi rispondevano: “Come chi sei? Sei Francesca” e anche se la risposta può sembrare ovvia, io li guardavo seccati replicando: “No, lei è Francesca. Questo corpo è Francesca, ma io, chi sono?” Perché davvero sentivo l’impulso che stessi solo vivendo in Francesca, tramite Francesca, ma la vera me era nascosta, come se stesse giocando a nascondino.

And all I can taste is this moment
(e tutto ciò che posso assaporare è questo momento)
And all I can breathe is your life
(e tutto quello che posso respirare è la tua vita)
And sooner or later, it's over
(e presto o tardi è finita)
I just don't wanna miss you tonight
(solo non voglio perderti questa sera)


Seguendo l’impulso della me bambina, che ha sempre voluto capire chi realmente fosse, ho creduto di avere un qualche squilibrio mentale. Non sto scherzando, anche se sto ridendo mentre scrivo, ma da brava ipocondriaca, non potevo non pensarci.
Dopo solo quattro sedute, la psicologa mi guarda e mi domanda: “Perché cerchi all’esterno quello che hai già all’interno? Parli di voler trovare una ragione, un senso al Tutto, ma tu sai già tutto. Tu sei quel Tutto.
Esatto, sono rimasta come voi: nun c’ho capito ‘na mazza. Ho risposto: “Va bene che sono hippie, ma che vuol dire?
Lei per prima mi ha aperto la strada verso la spiritualità, e non smetterò mai di ringraziarla. Lei mi ha fatto capire che non esiste nulla in sbagliato in me, che si poteva lavorare sulla mia mente, - i disturbi ossessivi ci sono eccome - ma che io cercavo molte risposte in qualcosa che va oltre la mente.
Nell’estate del 2020 ero una donna che pensava solo al futuro, e neanche a quello prossimo, quello distante mesi, decenni. Ho sempre meditato, o meglio: avevo l’illusione di meditare, perché non l’ho mai fatto concentrandomi solo ed esclusivamente sul momento presente. Cercavo il modo di non pensare, di avere meno rumori possibili, di attirare chissà quali strani poteri o di aumentare quelli che già avevo.
Col tempo ho scoperto che i poteri sono i talenti, doni che vanno curati e utilizzati e che tutto avviene solo nell’Unosenzasecondo, il qui e ora. Tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà, vive in un unico momento.

And I don't want the world to see me
(E non voglio che il mondo mi veda)
'Cause I don't think that they'd understand
(perché non credo che capirebbero)
When everything's made to be broken
(quando ogni cosa è fatta per essere distrutta)
I just want you to know who I am
(voglio solo che tu sappia chi sono)


Da questa “scoperta” sono inciampata in un errore, quello di fare la santona. Per carità, in buonissima fede, e senza mai desiderare qualcosa in cambio. Mi dicevo: “Ma è una cosa bellissima, tutti devono sapere!” Ignoravo gli ammonimenti dei maestri, che mi ripetevano sorridendo che anche se lo avessi spiegato, non tutti avrebbero capito. “I discepoli non hanno capito i discorsi del Cristo, pensi che mo te capiscono a te?” Ma si sa, ho l’Ego superbo, pensavo di farcela, pur essendo ancora al livello elementare.
Spoiler: m’hanno preso tutti per pazza. A oggi posso aggiungere, giustamente, visto che ne parlavo come ‘na pazza. Non erano loro a non capire, ero io che ancora non avevo capito veramente, perché per poterlo fare, avrei dovuto prima distruggere la Francesca che avevo creato e stavo continuando a creare.

And you can't fight the tears that ain't coming
(e non puoi combattere le lacrime che non arriveranno)
Or the moment of truth in your lies
(o il momento della verità nelle tue bugie)
When everything feels like the movies
(quando tutto sembra come nei film)
Yeah, you bleed just to know you're alive     
(sì, sanguini solo per sapere che sei vivo)


Io mi preoccupavo di avvenimenti che sarebbero potuti accadere e che forse non capiteranno mai. Cercavo sempre di comprendere il Vero, osservavo per ore oggetti e alberi in attesa del grande Risveglio.
Ebbene, un piccolo, minuscolo, momento di Risveglio mi è arrivato in metro, qualche mese fa. Stavo accanto a Silvia, parlavamo di qualcosa che non ricordo, io fissavo un punto a caso, quando mi sono sentita esattamente come in un film. Ma nel senso che mi sono vista spettatrice della Vita.
Quella sensazione di osservarmi mi capitava spesso da bambina, era per me normale e così intensa che anche se col tempo è sparita, la ricordo ancora nitidamente.
Il vagone non era pieno – ancora i treni non viaggiavano al 100%, neanche nella linea pratica – eppure tutte le persone lì presenti le vedevo per ciò che erano realmente. Non posso descriverlo, perché non esistono parole per farlo. Provavo un solo sentimento: Amore.
Ma non l’amore per un motivo, o l’amore a livello di pulsione, un Amore che lo stesso George Harrison definiva: non di questo mondo.
In quell’istante per me il tempo si è dilatato, tanto che sono riuscita a cogliere tutti i particolari: dalla signora bionda che leggeva il suo tablet, al ragazzo con le cuffie che seguiva il ritmo di una canzone a me sconosciuta.
Da allora non ho avuto più di questi momenti, ma ho capito anche che non mi servono per avere la certezza che siamo l’Uno.
    
Yeah, you bleed just to know you're alive
(sì, sanguini solo per sapere che sei vivo)

Serve il dolore per accorgersi di tutto ciò, ve lo garantisco. Senza il dolore provato non sarei arrivata a questo punto. So anche che ci sarà tanto altro dolore, perché non può esistere un Risveglio che avviene con un background pacifico, Dante non va in Paradiso volando su magiche ali dorate; Dante non passa e attraversa l’Inferno stile turista che scatta due foto e ciao. No, Dante ci sta, lo vive, lo assapora, sta male.
Serve saper sanguinare per capire che si è vivi. “L’ossigeno non è respirare”, canta Ermal Meta. La Vita, la vera vita, non avviene nel piano materiale. Sarà forse un caso che il brano si intitola come un fiore estremamente comune, ma il cui nome deriva dalla Dea Iride, la messaggera tra umani e Dei?

P.s. probabilmente in un altro articolo vi racconterò di come - sempre questa canzone - mi ha impedito di togliermi la vita, perché la mia Anima non voleva ancora “tornare a casa”...

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