giovedì 21 aprile 2022

#Arte: Danae di Tiziano

Ci siamo rese conto che quando parliamo di opere d’arte, per lo più facciamo riferimento a dipinti di pittori stranieri. All’effettivo, di pittori nostrani non parliamo quasi mai, quindi abbiamo pensato di scrivere questo articolo stavolta parlando di una punta di diamante dell’arte italiana, ovvero Tiziano Vercelli (detto semplicemente Tiziano) e della sua opera “Danae”. Quadro realizzato nel 1545, a oggi è conservato al Museo nazionale di Capodimonte a Napoli.

Danae è un personaggio della mitologia greca, figlia di Euridice e Acrisio, principessa di Argo. Di lei avevamo già parlato nella recensione del libro “Il segreto di Medusa”, perché venne messa incinta da Zeus e diede alla luce Perseo. Era stata rinchiusa in una torre perché l’oracolo di Delfi aveva predetto ad Acrisio che suo nipote sarebbe stato la causa della sua morte. Sigillata in quelle mura, Zeus giunse da lei sotto forma di pioggia dorata e quando Perseo nacque, Acrisio rinchiuse entrambi in una cassa e li gettò in mare. Finirono sulle spiagge di Serifo, dove Danae e figlio vennero salvati da Ditti, cadendo, però, nelle mani di Polidette. La storia, poi, si intreccia con quella di Medusa, salvo il fatto che successivamente la principessa di Argo arrivò nel Lazio e fondò Ardea.

Dopo una breve introduzione sulla storia del personaggio, adesso analizziamo l’opera di Tiziano. Danae non è sotto coercizione del dio, ma cosciente e pronta. A testimonianza che il suo sia un atto d’amore e non una violenza, è la presenza di Cupido. La donna è emozionata, come si può vedere dalla mano destra che stringe nervosamente il lenzuolo. Il braccio è piegato con la stessa angolazione dell’opera di MichelangeloLeda”, sua chiara ispirazione. Per quanto riguarda la costruzione del corpo, Tiziano si rifece a un’altra sua opera molto famosa, la “Venere di Urbino” che aveva realizzato nel 1538, solo sette anni prima. Lo sguardo è dotato di una forte carica erotica e tutta l’opera fu conservata per anni nel “Gabinetto delle cose oscene” (o anche semplicemente “Gabinetto segreto”), una sezione del Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN), in cui erano custodite per lo più opere a sfondo erotico o sensuale.

Le pennellate sono fluide, a tratti imprecise, ma che grazie al chiaroscuro riescono a dare profondità ed energia all’opera. Danae è in primo piano, illuminata dalla luce, mentre sopra di lei stanno per cadere delle monete sul grembo. Come un presagio, la nuvola scura la sovrasta, ma non partecipa alla luce della donna, probabilmente a evidenziare il candore di lei. Il piccolo Cupido di lato sembra voler fermare qualcuno che vorrebbe impedire il compiersi dell’atto.

L’opera fu una commissione di Ottavio Farnese (secondo duca di Parma) che, data la sua connotazione erotica, era adibita al suo puro piacere visivo. Secondo altre fonti, invece, il dipinto venne richiesto da suo fratello, Alessandro Farnese. Secondo alcuni storici, il viso di Danae sarebbe il ritratto dell’amante del cardinale, Angela, cognata di Camilla Pisana che era una cortigiana dell’epoca. Infatti pare che il Farnese avesse mandato al pittore proprio una miniatura che raffigurava la donna.

Ciò che colpisce di quest’opera è quello che aveva già notato Michelangelo quando, alloggiando a Roma tra il 1545 e il 1546, supervisionò il quadro: non c’è una base di disegno. Questo venne confermato poi anni dopo anche dai raggi X fatti sull’opera. Il pittore non disegnò lo “scheletro” della donna, la base come diremmo noi “a matita”, ma iniziò subito con le sue pennellate che danno un tocco aggiuntivo ai colori della composizione. Il Vasari riportò infatti: “Buonarruoto lo comendò assai, dicendo che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a Vinezia non s'imparasse da principio a disegnare bene e che non avessono quei pittori il miglior modo nello studio”, in quanto Michelangelo individuò alcune imperfezioni nella realizzazione della gamba in primo piano. Tiziano cercò più volte di ispirarsi ai lavori del Buonarroti, tanto che Paolo Pino (pittore italiano del XVI secolo) disse che con la fusione tra il disegno di Michelangelo e la colorazione di Tiziano, sarebbe nato il dio della pittura.

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