venerdì 6 ottobre 2023

#Musica: Bagatelle

22 giugno 2022, Palazzo Dello Sport, Roma.
Al concerto Riccardo Zanotti ci ha introdotto la canzone di cui parleremo oggi facendoci fare una bella presa di coscienza, facendoci compiere un gesto tanto quotidiano quanto, come sempre in questi casi, dato per scontato: quello di farci prendere le chiavi di casa e di farle tintinnare per farci sentire il loro rumore così normale e quasi scontato per noi.

Bagatelle” è stata l’ultima delle canzoni a essere suonata in sessione acustica al concerto, l’abbiamo accennato nell’articolo che abbiamo dedicato alla serata, così come abbiamo accennato quanto tutte le canzoni cantate in questa sessione siano incredibilmente importanti. Di uno dei tre brani, “Scatole”, abbiamo parlato in questo articolo, ma “Bagatelle” è un’arma a doppio taglio: nonostante vanti di una profondità indiscussa rischia di passare inosservata o peggio, essere vittima dei pregiudizi e giudizi dell’ascoltatore.
Non giriamoci intorno raga, è una canzone visibilmente di stampo politico.
È sinistroide, per non dire di sinistra.

E se è sempre sbagliato cedere a qualsiasi tipo di giudizio soprattutto quando si tira in ballo l’arte, in questo caso forse è ancora più sbagliato, visto che sulla genialità di questa canzone ci è stata messa la firma dai piani alti: è stata scritta nel settembre del 2013 e inserita nell’album “Il re è nudo” rilasciato nel luglio del 2014, più o meno nel periodo in cui Riccardo è partito per Londra e iniziare a frequentare la University of Westminster.

Ora, per chiunque si sia informato per un qualsiasi motivo sulle politiche universitarie inglesi sa che per l’ammissione all’università in Inghilterra il voto minimo di maturità è ottanta e, per alcuni istituti ancora più severi, novanta. Riccardo per dispetto fu fatto uscire con settantanove (in seguito scriverà anche una canzone a riguardo: “79”).
“Bagatelle” è stato il suo passe-partout, letteralmente, perché ha colpito la commissione d’esame della University of Westminster a tal punto da far chiudere un occhio di fronte suo voto di maturità e da farlo proseguire nonostante tutto, e se anche una fredda, rigida e inflessibile commissione d’esame inglese si piega di fronte a un semplice studente di diciannove anni di Alzano Lombardo, allora la canzone può anche non piacere ma ripetiamo che sia oggettiva la sua genialità.

“Uno, bue, re, gatto
Di fronte al fuoco del falò
I lineamenti di Lucia erano ottovolanti
E Paolo se ne innamorò
E rivolse lo sguardo al cielo ed ai suoi santi
«Io ve lo chiedo umilmente e so che siete occupati
Con tutta la gente più bisognosa di me
Ma mi sono innamorato e vi sarei molto grato
Se lei ricambiasse il sentimento»
Amore, amore sei sempre la stessa vecchia solfa
Sei la porta che scricchiola, il motore che s’ingolfa
L’ombrello dimenticato alla stazione del tram
Il rumore di un sogno che resiste sotto al peso dell’età”

A una prima e superficiale lettura solo questa strofa sembra semplicemente una canzonetta d’amore, ma non lo è.
Ovviamente non lo è.
Quello che è, però, è un presagio di quello che verrà nelle strofe successive e una critica a quello che siamo tutti: dei perbenisti.
A esserlo è Paolo che sentendosi fintamente in colpa chiede al cielo e ai suoi santi il favore di far innamorare Lucia, lo è ammettendo che il suo è certamente un capriccio dovuto dall’Ego e sa perfettamente che c’è chi è in condizioni molto peggiori di lui e questo è apparentemente ammirevole, ma è da ipocriti.

Abbiamo ascoltato questa canzone quasi ossessivamente cercando di capire cosa vedessimo in Paolo, l’abbiamo ascoltata ossessivamente perché ci focalizziamo sempre sulle cose che sembrano “solo una cosa” e ovviamente queste frasi che sembrano “solo una introduzione” non potevano esserlo veramente.
Infatti non lo sono, e dopo esserci messe di tigna ad ascoltare bene parola per parola e a vedere quello che non volevamo vedere, abbiamo capito che era proprio ipocrisia, quella che Paolo mostra nel brano.
Non umiltà, non rispetto, ma ipocrisia.

Perché lui ammette tutte le belle cose che abbiamo detto poco sopra, certo, ma pochi secondi dopo scrolla le spalle e quel “ma” prima di “mi sono innamorato” a noi sa molto di: “bello tutto, davvero, ho fatto la mia parte e detto le mie preghierine, ma in realtà non mi interessa, voglio solo ottenere quello che voglio”.
Ci abbiamo messo settimane a notare questa caratteristica di Paolo perché ovviamente l’ipocrisia, il perbenismo, la falsità o come la vogliamo chiamare è una caratteristica intrinseca di tutti quanti, badate bene, ma non per questo va lasciata correre libera; anzi, sarebbe bene farsi un esame di coscienza spesso e volentieri e dirsi in tutta onestà che non c’è niente di male nel menefreghismo e anzi, è proprio imparando ad accogliere il menefreghismo che è in tutti noi che possiamo imparare a interessarci genuinamente delle dinamiche intorno a noi.

E da una parte sapete cosa? Sono parole da superbi, ma proprio tanto.
Proprio perché quotidianamente diamo un nome alla nostra, di superbia, sappiamo ormai riconoscere quando c’è superbia in un’azione o in una frase, e lo sminuirsi di Paolo di fronte al cielo e ai suoi santi solo per quasi pretendere successivamente di essere aiutato da quest’ultimi, la dice veramente lunga e smaschera molta della presunzione (soprattutto subdola, in questo caso) degli umani.
E se credete di no, provate a pensare che come facciamo una cosa facciamo tutte le cose e che questo insignificante pensiero che ha come sottotesto il “dovete stare tutti ai miei comodi” poi diventa un’azione ripetuta nel tempo, e l’azione ripetuta nel tempo fa – o almeno dovrebbe – scattare nell’altro un doverosissimo e giustissimo: “scusa, ma chi ti credi di essere?”.

Alla fine avevamo ragione, non era solo una introduzione alla canzone.

“E sopra al gommone traballante
Il sorriso di Fatima era una nave da crociera
E circondato da sale misto a sangue
Il giovane Samir scoprì la primavera
Affacciati dal gommone e tendimi le tue mani
In fondo se chiudi gli occhi pare di essere sul Titanic
Ma noi non affonderemo, vedrai che ce la faremo
Sento già profumo di pizza ma forse è solo la libertà
[ritornello]
Amore, amore che da tempo sei scappato dalle chiese
E ti nascondi nelle foto di un turista giapponese
Sei quasi morto sotto i colpi di fucile della NATO
Ed oggi taci per paura di sembrare sdolcinato”

Eccola, eccola la gente più bisognosa, le dinamiche di cui tutti dovremmo interessarci sul serio.
Quante volte se n’è parlato? Prima del Covid, ovviamente, perché ora sembra quasi che la questione immigrazione non esista più e viene ignorata così come vengono ignorate una moltitudine di temi non appena finisce il momento, non appena le testate perdono l’esclusiva e non appena smette di andare di moda.
Il punto è che le questioni umanitarie non dovrebbero andare di moda e non dovrebbero sparire dai giornali, non dovremmo smettere di parlarne e siamo tutti colpevoli perché tutti in un modo o nell’altro cadiamo nella trappola del: “se non se ne parla allora il problema non si pone”.
Perché come Paolo siamo freddi – o ci siamo raffreddati con il tempo? –, forse a un certo punto andiamo in sovraccarico di informazioni e il nostro cervello non riesce proprio più ad assorbire niente e non vogliamo – o non riusciamo? – più a recepire più nessuna informazione, forse poi sarà che siamo veramente sfiancati, ma sta di fatto che ormai ci interessa poco o niente di quello ci succede intorno e siamo diventati sempre più egocentrici ed egoriferiti.
È un po’ quello che ha voluto dire Riccardo facendo prendere le chiavi di casa a tutte le persone presenti all’interno del Palazzo Dello Sport e facendole tintinnare per far risuonare quel rumore così familiare, e in realtà l’ha detto anche a parole ma si sa che i gesti valgono molto di più: “Ricordiamoci sempre che finché possiamo sentire questo rumore siamo dei privilegiati”.

L’amore alla fine è il tema di questa canzone, ma non l’amore di una semplice cotta che si avvicina più al mero innamoramento che è destinato nella maggior parte dei casi a finire, in questa canzone si parla dell’amore vero (o dell’agàpe, chiamatelo come vi pare ma quello è).
L’amore vero che è ovunque e si nasconde in ogni angolo del mondo (anche nel più squallido e angusto) ma che non viene colto più da nessuno.
O viene colto da pochissimi.

“Bagatella
/ba-ga-tèl-la/ s.f.
Cosa frivola, cosa da nulla o da poco
SIN. bazzecola, piccolezza, sciocchezza”

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