lunedì 16 ottobre 2023

#Mitologia: Linguaggio runico

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Più volte, in questa etichetta, abbiamo accennato alle Rune. Vi abbiamo parlato di miti che le contemplavano, di Odino che dà la comprensione del loro significato ai propri figli o agli umani più meritevoli, ma forse mai ci siamo immersi nel loro significato.


Cosa sono? A che servono? Da dove provengono?

Ne parliamo così oggi, più per informazione generale su quella che dopotutto è la nostra cultura europea che da un punto di vista di credenza vera e propria. Non perché rileghiamo il tutto a “finzione”, al contrario.

Spesso da italiani ci viene più facile pensare che siamo figli della Roma papale, per noi è ovvio seguire o criticare una dottrina invece di prendere esempio dai nostri antenati ancora più lontano che prendevano a esempio ogni cultura e filosofia, perché tutte sono degne di essere accolte.

Ecco, ci piace pensare a un mondo che ami accogliere quello che non conosce, e visto che i secoli passati si sono macchiati del sangue di donne e uomini innocenti, rei di professare un altro tipo di fede o credo, è giusto – secondo il nostro parere – andare loro incontro, tendere la mano e mostrare un’altra delle molteplici visioni che formano l’Europa nel suo insieme.  
 
Quando e dove nascono le Rune

È davvero difficile dare un luogo o una data esatti alla loro formazione e diffusione. Sappiamo che Tacito, nel suo “De origine et situ Germanorum” (98 d.C.), parla di un metodo di divinazione molto diffuso nei popoli del nord: erano infatti soliti dipingere segni su di pezzi di legno, lanciarli in aria e dare responsi a seconda di come cadessero.
L’atto in sé e le forme di cui parla Tacito, sono certamente riconducibili alla divinazione con le Rune.

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Come già accennato nell
’introduzione, i miti norreni parlano della loro esistenza come una sorta di alfabeto – e di conseguenza di linguaggio – divino, di cui solo pochi uomini (nel senso neutro e generale del termini) sono a conoscenza del loro reale significato.
Questo non dovrebbe stupirci, né farci guardare con sospetto le Rune, dato che anche in Italia – così come in Egitto, nel nord Africa, in ogni paese al mondo, in realtà – nel passato la scrittura era un dono che solo la casta sacerdotale poteva acquisire e di conseguenza dare.
Non è difatti un mistero che fino al Medioevo abbiamo avuto imperatori, re e principi analfabeti, ed è proprio con il Concilio di Toledo (527) e di Vaison (529) che la Chiesa dà il via alla scolarizzazione elementare.
La rarità, insomma, era trovare un qualsiasi cittadino, ricco o povero che fosse, che sapesse leggere e scrivere correttamente, forse è anche per questo che “Runa” nelle antiche lingue germaniche significa “mistero” o “segreto”.

Sempre il passato ci insegna che la tolleranza verso il diverso non era una virtù da inseguire, così se Roma guardava con fascino gli antichi rituali nordici, la Chiesa nella sua evangelizzazione al nord aveva come obiettivo quello di sradicare il tutto, anche a costo della vita.
Nessuno poté più utilizzare tale linguagigo, fino ad arrivare al Seicento, quando in Islanda, chiunque fosse trovato anche solo in possesso delle Rune rischiava la pena di morte.

Alcune fonti storiche, però, mostrano le Rune come simboli anche di testi descrittivi, giuridici e persino commerciali, ecco perché è facile credere che in fin dei conti ogni simbolo faceva parte di un vero e proprio alfabeto con il quale si poteva comunicare nella normalità della vita.
Per questo e per l’estrema grandezza dell’Europa del nord-est, le fonti ritrovate mostrano diversi tipi di alfabeto runico, che si differenziano sia nel numero di simboli, sia nei loro stessi disegni.

I vari di Futhark

L’intero alfabeto runico prendeva il nome di Futhark, cioè la sequenza dei primi sei segni che lo componevano: Fehu, Uruz, Thurisaz, Ansuz, Raido e Kenaz.
A parlarlo, molto probabilmente, erano le antiche popolazioni germaniche come gli Angli, gli Juti e i Goti. I simboli – di cui le prime incisioni ritrovate risalgono al I secolo d.C., fino ad arrivare al XI – ricordano quelli dell’alfabeto etrusco, ecco perché con molta probabilità possono essere stati presi dalle popolazioni denominate nordetrusche, che anticamente abitavano le Alpi.
È un caso più unico che raro, però, che pur mantenendo i simboli, il loro ordine fosse totalmente scambiato. Per esempio, se dovessimo dire le prime lettere del Futhark all’italiana avremmo: F, U, T, A, R e C.

Comunque sia, i simboli sono ventiquattro e non presentano le linee dolci delle nostre B o O, che anzi sono più appuntite. Il fatto è che venivano incise su pietra, e non c’era di certo tempo per un lavoro rifinito.

Il Futhark più conosciuto è quello germanico (l’Elder Futhark), utilizzato ovviamente nelle popolazioni germaniche e quelle scandinave. Le popolazioni germaniche orientali utilizzavano il Futhark gotico, poi rimpiazzato con un altro tipo di alfabeto creato dal vescovo Wulfila nel IV secolo d.C.
Se i popoli fino ad adesso citati utilizzavano il Futhark come una vera e propria lingua sia scritta che parlata, i popoli anglosassoni lo importano – cambiandolo leggermente – in Britannia nel V secolo d.C., ma più per adornare gioielli e oggetti di lavoro che altro.

L’alfabeto viaggia per la Scandinavia, dove dall’800 al 1200 si evolve nel Futhork Giovane, per poi essere latinizzato con l’avvento del Cristianesimo. Viene comunque utilizzato, come nel caso di quello anglosassone, come scopo decorativo almeno fino alla metà dell’Ottocento.
Anche in Ungheria e nell’Europa dell’Est vi sono trovate tracce del Futhark runico, alcune delle quali dal significato cattolico, come la scritta del 1668 su di un soffitto di una chiesa a Énlaka, in Transilvania, che recita: “Egy az isten Goergyius Musnai diakon” (trad. “Esiste un solo Dio. Diacono Georgyius Musnai.”)

Tali simboli arrivano anche nella Siberia, come i ritrovamenti del 1700 nella vallata del fiume Yenisei, anche se in questo caso si differenziano abbastanza da avere un nuovo nome: l’alfabeto Orkhon.


Ma esistono anche Futhark del tutto inventati, come quello Cirth, (in un miscuglio di alfabeto runico anglosassone e scandinavo) creato da J.R.R. Tolkien (1892-1973) per i libri di “Lo Hobbit”, (1937) “Il Signore degli Anelli” (1954-1955) e “Il Silmarilion” (1977, come pubblicazione postuma).

Senza contare che, proprio come ogni linguaggio, anche quello runico ha il suo in codice, ma forse è meglio non proseguire.

Come funziona la divinazione

Proprio come succede con i tarocchi, le Rune non danno mai risposte sul futuro, ma solo ed esclusivamente consigli relativi al tempo presente.
Ogni Runa ha un suo simbolo, con un significato specifico che è strettamente collegato a una stagione dell’anno e a un mito. Va da sé che anche qui la divinazione procede per archetipi, dove non solo è importante il singolo simbolo, ma anche – forse soprattutto – come esso cade sulla tavola e vicino a quale altro.
Così come insegna l’astrologia: non è importante il singolo segno zodiacale, ma l’insieme di tutti e dodici nel tema natale del consultante, con i relativi aspetti.
Può sembrare complicato, ma basta un buon allenamento per prendere facilmente la mano.

Ricordiamo, però, che tutto ciò era popolare in tempi dove non esisteva la psicologia, non si pensava neanche di ricondurre molti blocchi a traumi avuti nell’infanzia o addirittura presenti nel proprio albero genealogico.

L’inconscio, poi, non aveva un nome e si manifestava proprio grazie a tutti questi rituali. Per questo non ce la sentiremo mai di deridere certi comportamenti, né di relegarli nella più banale “superstizione”.
Per quanto vogliamo allontanarci da loro, fanno parte di un passato che abbiamo dimenticato perché costretti a farlo. Come sempre, crediamo che riportarlo in superficie possa aiutare a rispondere a molti dei nostri perché, se non altro potrà fare in modo di osservare che siamo davvero collegati gli uni agli altri e che dopotutto le differenze sono solo illusione e non hanno nulla di male, se ognuno di noi vive con amore e rettitudine.

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