mercoledì 18 ottobre 2023

#Arte: La luce di Caravaggio

Ritratto di Ottavio Leoni, 1621

Torniamo a parlare di Michelangelo Merisi dopo avervi recensito il film che, quasi un anno fa, è arrivato nelle sale italiane. Vi abbiamo anche parlato di una delle sue opere (Narciso), ma adesso vogliamo fare un macro-discorso sulle sue tele. In quel caso ci si incentrava sulle ombre dell’artista, in questo caso vogliamo spostare l’attenzione su ciò che lo ha reso celebre: la luce.

Nei suoi quadri, ne avete sicuramente sentito parlare, l’attenzione che viene data all’illuminazione la fa da padrona. Procediamo, però, con ordine.

Chi era Caravaggio?

Nato a Milano il 29 settembre del 1571, il suo è uno pseudonimo che per lungo tempo ha fatto supporre che il paese del bergamasco fosse il luogo dei suoi natali. Grazie alla scoperta archivistica nel Liber Baptizatorum della parrocchia della Basilica di Santo Stefano Maggiore, è stato accertato che fosse nato proprio a Milano. Sulla sua effettiva datazione, ovviamente, si procede a tentoni: si suppone che sia il 29 settembre per via del suo nome, visto che è il giorno dedicato a San Michele Arcangelo. Con minor probabilità, si suppone anche che possa esser nato il 25 settembre, ma sono calcoli approssimativi che vengono fatti sulla datazione del giorno del suo battesimo.

Madonna dei Palafrenieri, 1605-06
Roma, Galleria Borghese.

Passando alla composizione scenica delle sue opere, Caravaggio ha raggiunto la fama proprio grazie alla teatralità con cui il pennello ha reso eterne le sue tele. Se nell’ombra, infatti, vi possiamo leggere tutto il pentimento, il peccato e i sensi di colpa, nella luce vi possiamo vedere l’illuminazione divina. Una contrapposizione che non è mai netta, ma che si sfuma esattamente come accade nella vita di tutti i giorni. Non esiste una presenza o un’assenza del divino, ma un agire o meno guidati dalla consapevolezza del suo sguardo. Ed è in questo punto di vista che noi riusciamo a cogliere la bellezza dell’azione umana: santificata o condannata a seconda dei motivi che la guidano.

I soggetti scelti come modelli erano peccatori: ubriachi che vivevano ai margini della strada, cadaveri ripescati dal fondo del fiume, prostitute nelle loro ore più libere. Peccatori che venivano eretti a santi dal pennello dell’artista, quasi come una forma di blasfemia per l’occhio dell’apostolica chiesa. In realtà, nella verità dei soggetti che egli sceglieva, vi era proprio quella presenza a cui accennavamo prima. Il suo drammatico realismo, infatti, riusciva a cogliere la verità del pentimento religioso, ma ne evidenziava i caratteri sociali e la contraddizione che molto spesso questo comporta. Gli “ultimi” non sono mai lasciati da soli, al contrario sono loro stessi il reale vessillo del divino.

Giuditta e Oloferne, 1599 ca.
Roma, Palazzo Barberini, Galleria Nazionale d’Arte Antica

Si rifiutano le convenzioni, non si dipinge il bello, ma si dipinge il crudo dualismo dell’umano: Dio che incontra l’Io e non lo abbandona neanche quando la comune morale non viene rispettata. Ed è così che le sue prostitute diventano le sue Madonne. In questo modo la fanciullezza viene raffigurata attraverso gli occhi dell’amante e gli ubriachi diventano gli apostoli alla ricerca della conversione.

La luce illumina il peccatore e il suo peccato. L’ombra cela, in bella vista, gli egoici sensi di colpa. Dallo scuro si passa al chiaro così come dal peccato si diviene penitenti e successivamente si viene eretti al paradiso. La religione, quindi, incontra la prospettiva e si riversa sui dipinti del dissoluto maestro. Le sue influenze sono state molteplici nel corso del tempo, ma in pochi sono stati in grado di cogliere aspetti tanto profondi tra noto e ignoto. La vita e la morte danzano sulle tele di Caravaggio, una lenta danza che porta alla fine di ogni singolo dubbio. Quasi come se la morte fosse la reale ricompensa all’esperienza che viene fatta su questa terra.

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