venerdì 17 dicembre 2021

#Cinema&SerieTv: La stanza - Recensione

L’horror è il genere per eccellenza che riesce a esorcizzare le paure del pubblico. Un modo controllato con il quale intraprendere una sorta di terapia d’urto, che ci mette faccia a faccia con ciò che molto spesso tendiamo a ignorare. E, nonostante i problemi con cui gli autori di questo genere devono confrontarsi all’interno del nostro paese, riusciamo ad avere pellicole interessanti che riescono a rileggere la nostra società. La pellicola di cui vi parleremo oggi è disponibile su Amazon Prime Video ed è diretta e scritta da Stefano Lodovichi; abbiamo avuto modo di incontrarlo durante l’Heroes Film Festival e ciò ci ha permesso di approfondire ulteriormente alcuni degli aspetti che sono stati trasposti all’interno della pellicola.

"La stanza" racconta la storia di Stella (Camilla Filippi), una madre, che si ritrova sull’orlo di un cornicione. Saltare vorrebbe dire metter fine a tutto, ma un suono le impedisce di portare a compimento tale gesto. L’uomo misterioso che ha bussato alla porta dice di esser un ospite, di aver prenotato una stanza e visto il tempo non sarebbe molto cortese esser mandato via. La stravolta Stella non sa cosa, effettivamente, sia corretto fare; ma alla fine decide di farlo entrar contattando il marito per avere maggior informazioni su tale affitto.

Sappiate che da questo punto in poi l’articolo scenderà nei dettagli e quindi conterrà spoiler sul film.

Una volta accolto, lo sconosciuto mostra un comportamento strano, quasi sospetto. Parla come se sapesse informazioni intime all’interno della famiglia. Una volta arrivato Sandro (
Edoardo Pesce), il marito di Stella, la situazione inizia a prendere una piega un po’ strana. L’uomo misterioso colpisce alla testa Sandro e provoca un mancamento di sensi in entrambi i coniugi lasciando, poi, che si sveglino legati alle due sedie in cucina. L’ospite, di cui ancora non conosciamo il nome, inizia a mostrare delle foto a Stella e a svelarle una verità che fatica ad accettare: Sandro ha un’altra famiglia. Una donna, un bambino, che sembrano di gran lunga più felici di quanto non siano Stella e il figlio che da più di un anno non esce dalla propria stanza.

All’interno della narrazione, dunque, il tempo si piega e inizia a prendere dei risvolti inaspettati. Davanti allo spettatore diventa evidente la verità, per quanto assurda e surreale questa possa sembrare. L’uomo misterioso sa tutti quei dettagli perché in realtà li ha vissuti sulla propria pelle, come quelle cicatrici che ha su tutto il corpo, perché lui è proprio Giulio. Il tempo si è diramato, ha preso una piega diversa. Un salto che non vi è stato, un evento che è stato impedito e un mostro che incarna una delle sindromi più attuali che abbiamo all’interno della nostra società: quella degli hikikomori. Per chi non dovesse conoscere questa parola, vi spieghiamo molto brevemente il significato: questo termine è nato principalmente in Giappone e indica la pratica di chiudersi all'interno della propria stanza lasciandosi andare all'ansia sociale. 

Giulio a causa dei suoi traumi e degli eventi che ha vissuto nel corso della sua crescita -che non vi spoileriamo per non rovinarvi ulteriormente la visione del film- si è chiuso all’interno del suo mondo. La sua stanza, luogo protagonista di questa storia, diviene quel luogo sicuro dalla quale non uscire. Quel posto che lo tiene lontano dai mostri esterni; paure che vengono incarnate dapprima nel padre e nella sua rinnovata società, successivamente nella madre stessa.

La stanza, per sineddoche, si fa ancora una volta luogo canone dell’horror. La casa che dovrebbe essere quel luogo sicuro nella quale poter togliere le maschere, nella quale poter chiudere al cacofonia del mondo fuori, o quel posto nella quale potersi rifugiare dal male esterno, diviene il punto nella quale il male si annida. Figli che si rivoltano contro padri, genitori che sono causa dei traumi dei propri figli. Il terrore che impregna le mura e le fa vibrare quasi come se fossero vive, perché del resto basta un semplice buco nella parete per poter vedere il mondo esterno.

Giulio, chiuso nella sua stanza, può vincere le sue paure. In una sorta di agorafobia triplicata, la stanza diventa trincea dalla socialità e dal contatto umano. Nella storia, infatti, viene proprio portata in scena questa mancanza di contatto e questa assenza di socialità. Le uniche volte in cui vediamo Giulio da piccolo sono quelle in cui lui manifesta questa sua inabilità che sembrerebbe coinvolgere anche l’aspetto comunicativo.

Per chi non lo sapesse, infatti, il soggetto per La Stanza nasce dal materiale che Stefano aveva raccolto per la realizzazione di un documentario proprio sul fenomeno degli hikikomori in Italia. Un progetto che non è andato in porto, ma che si è evoluto con la storia che è stata realizzata in questo lungometraggio.

La stanza è un film che riesce a intrigare, che spinge il pubblico a chiedersi come sia possibile che ci sia avvenuto e si conclude senza effettivamente fornirgli una spiegazione, ma non è assolutamente necessaria. La risoluzione finale, infatti, risulta coerente con la sottotrama che viene esposta agli occhi dello spettatore. L’assenza di contatto si esaurisce nel momento in cui gli spazi vengono colmati e quindi si impedisce, fisicamente, la nascita del mostro. Non si sa quanto di tutto ciò che abbiamo visto sia “reale” nell’economia filmica e quindi quanto di tutto ciò sia influente sulla vita dei personaggi, sappiamo solo che è avvenuto. Potrebbe essere stato un evento risolutivo esclusivamente vissuto da uno dei propri personaggi che in un certo senso si è trovato a lottare con i propri demoni incarnati in questo sconosciuto. Una sorta di viaggio onirico per intenderci. Oppure, potrebbe essere avvenuto e quindi in realtà al piano di sopra è rimasto un cadavere ucciso da qualcuno che è scomparso. Non lo sapremo mai, ma non sembra avere troppa importanza.

Tutta la morale che viene portata in scena viene coordinata anche dai costumi, dal trucco e dalla scenografia. La casa, con le sue pareti pennellate, quasi come se fossero una sorta sfondo teatrale freddo che restituisce l’idea del sogno. Le pareti, fatte di quel colore, in quel modo, risultano opalescenti opache nebbie protagoniste sceniche dei meandri di un ricordo. Il blu diviene protagonista della scena, restituendo al pubblico quell'aria subacquea che rende tutto etereo. 
Tutto questo alone viene evidenziato dal personaggio di Stella: dal modo con cui le hanno acconciato i capelli e dagli abiti che indossa. In particolare, l'abito da sposa unito ai suoi capelli bagnati fanno comprendere la sua voglia di affondare, la sua voglia di sparire. Sembra quasi omologata alle pareti di quella casa che ha ingoiato lei e il suo bambino. Vorrebbe sparire e interrompere il dolore che sta provando e il suo caschetto biondo mosso dà proprio la sensazione di quelle onde che trascinano sul fondo dell'oceano. 

La stanza è un ottimo film di genere. Intrattiene, affascina, spinge a chiedersi il perchè e il per come stiano accadendo quelle cose sulla scena. Appartenendo all'horror si può permettere di giocare con le percezioni dello spettatore, sospendendo la sua credulità e lasciandogli più domande di quando si è iniziato il viaggio premendo play.  

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