martedì 28 dicembre 2021

#Cinema&SerieTv: La Casa di Carta - Recensione

[Larticolo contiene spoiler]

Non c’erano chissà quali grandi speranze in merito a un prodotto che ancora ci stupisce abbia avuto un successo così largamente diffuso. Stiamo parlando de “La Casa di Carta” (“La Casa de Papel”), la serie televisiva spagnola di Álex Pina che ha riportato in auge la canzone “Bella Ciao”.

Che dire, a nostro parere la serie si è protratta anche troppo a lungo, quattro anni per un finale non scontato, ma di più.
Però andiamo con ordine, così capirete il motivo del nostro disappunto. Si sa, quando una serie funziona, si tende a lucrarci sopra il più possibile per accontentare i fan. Il problema sta nella qualità di quanto realizzato. Chiariamoci, non era una serie rivoluzionaria, non era un qualcosa di cui si era costantemente in tensione con un finale incerto. Però ci si aspettava un finale meno alla tarallucci e vino, per questo forse era meglio non tentare con la “rapina del secolo”.

La serie, ambientata ai giorni nostri in Spagna, segue la storia di un gruppo di delinquenti che, seguendo un piano astuto, ambizioso e geniale, si introducono prima all’interno della Zecca dello Stato, poi alla Banca di Spagna. Lo scopo è prima far stampare centinaia di banconote, diventare così ricchi e fuggire con il pensiero di una vita agiata. Non solo, per una serie di vicessitudini, dopo cinque anni riprovano una rapina, stavolta al simbolo dell’economia spagnola. Con una serie di stratagemmi, nessuna delle due volte lo Stato riesce a salvarsi da questi criminali. A ideare entrambi i piani è la mente brillante del Professore (Álvaro Morte), alias Sergio Marquina, un uomo con un cervello che farebbe impallidire Sherlock Holmes. Prima di far introdurre la sua squadra nella Zecca di Stato, mette su un piano che ha dell’incredibile per l’accuratezza. Riesce a prevedere ogni possibile mossa dello Stato stesso, che non potrà non intervenire se una banda criminale - vestita con una tuta rossa e la maschera di Dalì sul viso - si introduce in uno degli edifici più importanti di Madrid, soprattutto se ci sono degli ostaggi. 

Le regole da seguire, secondo il Professore, sono due: sangue freddo e nessuno può rivelare la propria identità. Inutile dire che nessuna viene rispettata. Comunque, i membri sono: Tokyo (Ùrusla Corberò), Berlino (Pedro Alonso), Rio (Miguel Herràn), Mosca (Paco Tous), Denver (Jamie Lorente) e Nairobi (Alba Flores), a cui poi si aggiungeranno nel corso delle cinque stagioni Stoccolma (Esther Acebo), Pamplona (Ahikar Azona), Lisbona (Itziar Ituño), Manila (Belèn Cuesta), Palermo (Rodrigo De la Rosa) e Bogotà (Hovik Keuchkerian). La voce narrante della storia è Tokyo, che racconta quanto sta accadendo e i pensieri più reconditi dei personaggi, al pari di una voce onniscente. Riescono nell’impresa, la polizia, con il colonnello Tamayo (Fernando Cayo), non può fare nulla perché il piano è talmente accurato che ogni possibile contrattempo viene immediatamente risolto dal Professore. È la vincita dei ribelli.

Questa è la trama, scritta in maniera più riassuntiva possibile. Lo sappiamo, forse abbiamo dei pregiudizi, però non abbiamo finito. Come dicevamo, la voce narrante della storia è Tokyo, ma la ragazza muore nella prima metà dell’ultima stagione… e anche da morta, continua a narrare i fatti come se fosse ancora lì presente. Già solo questo punto fa storcere il naso. Mettiamoci anche che una mente, per quanto geniale, riesce a fregare l’intelligence spagnola, riesce a piegare un intero stato e un intero mercato mondiale trafugando lingotti d’oro e il gioco è fatto. A parte alcune morti che servono solo a dare un tocco straziante alla serie, tutto ciò che fanno i rapinatori è quello di prendersi gioco del comandante della polizia, per poi arrivare all’accordo alla “tarallucci e vino”, perché viene fatto questo ragionamento da chi è a capo dell’indagine: ok, avete rubato tutto l’oro della Spagna e non volete ridarcelo indietro; avete scambiato l’oro con ottone, quindi… fingeremo di avervi uccisi tutti, così potrete ricominciare altrove una nuova vita.

Certo, logico. Secondo quale principio coloro che hanno già tentato due rapine che hanno messo in ginocchio uno Stato per due volte potranno vivere davvero lontani dal crimine? Tutti poi, nessuno con il minimo ripensamento. I produttori hanno catturato l’attenzione del pubblico a suon di grandi discorsi strappalacrime e gusto dell’esagerazione, del rapporto tra chi non ha nulla e chi ha troppo, tra Stato e Popolo, troppo spesso distanti. I criminali diventano quindi “eroi”, la “resistenza” a un mondo fatto di diseguaglianze, al suono di “Bella Ciao”. Soprattutto Tokyo e Nairobi, le principali morti che hanno scosso il pubblico, diventano le paladine di una giustizia, eroine che hanno lottato per un ideale, per una vita migliore. L’amore è un elemento fondamentale della storia, in cui i rapporti umani vengono portati all’esagerazione, dove il “morirò per te” non rimane un costrutto detto tanto per, ma diventa il motore che porterà alla rapina del secolo.

Forse l’unica parte che ci sentiamo di accettare della quinta stagione è quella riguardante l’oro. Cos’è, alla fine, un lingotto, se non una illusione? Tutto perisce, tutto marcisce, eppure quella lega rimane imperitura. Non ha scadenza, ma ha un immenso valore simbolico. La sua assenza mette in ginocchio uno Stato, dimostra quanto nessuno stato provi minimamente a tendere una mano alla Spagna che in quel momento ha delle serie difficoltà con una manciata di rapinatori armati di mitragliatrice. L’oro non è altro che una illusione, come qualcosa che abbiamo elevato a nostro sovrano e ci ritroviamo a essere pedine di un gioco di scacchi malato, che mostra il peggio di noi. Quante guerre si sono combattute per delle pietre luccicanti? Quante vite sono state spezzate in nome della ricchezza? L’oro diviene simbolo della cupidigia umana. Alla fine è Lisbona, insieme al Professore a mettere la parola “fine” a un massacro durato anche troppo.

- “Ci pensi bene, colonnello. È anche quasi divertente. Non mi dica che non si adatta alla tradizione spagnola. Quale altro paese potrebbe avere una riserva nazionale di ottone e continuare a funzionare come una delle principali economie del mondo. È il picaresco [Il picaro è un personaggio che nasce povero che con degli stratagemmi muta il suo status sociale] spagnolo. Il “Lazarillo de Tormes” [antieroe per eccellenza della letteratura spagnola] non è stato scritto dagli inglesi

- “Tamayo, lei diventerà un eroe. Questa piccola differenza di metallo sarà solo un segreto di stato in più.

Questo discorso ha la forza di puntare sul logoramento. La guerra è durata anche troppo, non ci sono sconfitti se la polizia si arrende al fatto che i rapinatori con la maschera di Dalì non diranno mai dov’è nascosto l’oro. Quindi meglio un massacro e la bancarotta o un muto accordo che fa contente entrambe le parti? Ovviamente la narrazione segue i più noti cliché e la polizia si arrende di fronte alla resistenza. Ce lo aspettavamo, eppure la delusione non è stata poca. Che dire, non è una serie che ci sentiamo di consigliare, però non è neanche la serie tv peggiore degli ultimi anni. E a voi? È piaciuta?

 

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