mercoledì 8 dicembre 2021

#Cinema&SerieTv: Verso la notte - Recensione dell'opera prima di Vincenzo Lauria

Dopo il debutto nel 2020 al Taormina Film Festival e la vittoria del premio del pubblico Mymovies nella sezione indieuropea, arriva in sala il 6 dicembre Verso la notte, l’opera prima di Vincenzo Laurina. Un film che ha preso vita grazie a un intenso lavoro fatto di sinergia e comunione tra tutti i comparti tecnici.

La storia si compone di varie tessere che emergono dal ribollire della memoria del suo narratore. Un complesso puzzle che, dunque, viene disvelato man mano che i fatti vengono mostrati allo spettatore. La diegesi, infatti, non ha uno svolgimento lineare e si muove sulle corde del ricordo e della presa di coscienza. “Verso la notte”, dunque, non racconta semplicemente la loro storia d’amore o il loro lavoro, al contrario, cerca di addentrarsi nelle profondità della comprensione e della presa di coscienza di uno dei protagonisti.
I protagonisti sono due giovani aspiranti registi che cercano di portare a termine un documentario su una senzatetto. Maryam (Duné Medros) e Hesam (Alireza Garshasbi) hanno frequentato la stessa scuola di cinematografia, forse non hanno molto in comune, ma giorno dopo giorno, lavorando a stretto contatto, finiscono con l’innamorarsi l’uno dell’altra.

Il punto di vista è quello di Hesam che sta facendo mente locale su ciò che ha vissuto insieme alla sua Maryam. In una storia che ha il sapore del meta-cinema ci si muove tra una ripresa e l’altra, finendo col vivere tutte le fasi del loro innamoramento, fino ad arrivare all’oblio: la notte. Ripercorrendo in ordine sparso i vari elementi della sua storia d'amore, ciò che ne emerge sono le differenze che intercorrono tra i due. Una disparità che affonda le sue unghie all’interno della differenza sociale e di capacità relazionale. Pur avendo frequentato la stessa scuola, infatti, i due provengono da due ceti sociali differenti: lui vive il disagio dell’essere uno studente fuori sede che fatica ad arrivare a fine del mese, cerca la sua indipendenza e si barcamena in lavori che non gli portano neanche troppo profitto; lei ha un appoggio economico ben differente, ciò la porta a cercare con maggiore facilità la convivialità con il prossimo, mostrandosi sempre aperta e pronta a bere quel bicchiere della staffa che Hesam non è totalmente in grado di concedersi.
Al quadro sociale e relazionale si aggiunge l’evidente incapacità, da parte di Hesam, di relazionarsi agli amici della stessa Maryam. Lui è di indole ben più riservata, elemento che lo porta alla chiusura e alla gelosa morbosità che si instaura tra di loro. La coppia, infatti, durante la loro relazione finisce col chiudersi all’intero di una gabbia che, solo per i primi mesi, ha le pareti dorate. Maryam proverà a cercare nuovamente la sua dimensione riagganciandosi ai suoi amici.

L’amore che viene portato sullo schermo diviene soffocante e insicuro, fatto di quelle stesse sensazioni che permeano la personalità di Hesam. Le sue insicurezze, infatti, sono l’anima corrosiva della sua relazione; quelle paure che si incasellano nella sua testa e alimentano quei pensieri negativi che lo spingono a visualizzare tutti i possibili scenari. Hesam è convinto che chiunque sia migliore di lui al fianco di Maryam, facendo così non fa altro che concretizzare quella profezia che è annunciata in tutto lo svolgimento della storia. La paura di perdere, alla fine, lo spinge a giocare le proprie mosse facendo le scelte sbagliate affinché arrivi alla sconfitta.

Si tratta di una profezia che è stata annunciata in particolare, dal personaggio di Anna (Paola Toscano), la senzatetto. Lei, con la sua tormentata poesia, non fa altro che evidenziare ciò che risiede nell’anima di Hesam, quasi come se ella fosse una sorta di specchio nella quale rivedere le paure più profonde. Del resto, è possibile leggere le sue stesse parole come un ricordo dello stesso Hesam, quindi come una sua ricostruzione.

Il tempo, quello narrativo e quello della diegesi, diviene la chiave di volta con la quale poter riuscire a incastrare ogni singola tessera che compone il puzzle di Vincenzo Lauria. Tempo che da pietra diviene quel rimescolare nella memoria affinché si possa processare ciò che è avvenuto e, in un certo senso, espiare le proprie “colpe”. Il suo scorrere permette la presa di coscienza e diviene quell’elemento razionale che riesce a sbrogliare la matassa dell’irrazionale e dei sentimenti. Componente che prende la sua corporeità attraverso l'uso della fotografia; infatti, vi sono differenti colorazioni e grane sullo schermo in grado di separare nettamente i tre tempi narrativi che si rincorrono nella narrazione: le riprese del documentario, in bianco e nero per lo più, la ricostruzione delle stesse insieme al vissuto della storia d'amore, e, in fine, il presente nella quale Hesam racconta il tutto al suo amico.

Infine, un plauso va sicuramente fatto agli attori che riescono con naturalezza a raccontare lo svolgimento dei fatti. Parole che si riescono a susseguire sia in persiano che nelle altre lingue creando concettualmente quella comunione che è possibile evincere dai diversi elementi inseriti nel film.

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