giovedì 16 dicembre 2021

#Spettacolo: L'horror in Italia

Non ci stancheremo mai di dirlo: il genere horror in Italia dovrebbe esser più valorizzato. È una cosa nella quale noi di 4Muses crediamo fermamente, perché attraverso di esso si ha la capacità di esorcizzare aspetti intrinsecamente legati alla crescita della società. Esso si evolve, si modifica nel corso del tempo e trasporta sullo schermo i malesseri -più o meno latenti - della popolazione nella quale trae origine. Dopo Dario Argento, in pochi sono stati in grado di prendere tra le mani il testimone di questo genere cinematografico nutrendo la diffidenza da parte del pubblico.

Oggi, infatti, possiamo parlare proprio di questo: diffidenza. Ci è capitato tantissime volte di sentire la frase: non vado a vederlo perché è italiano, come se i cineasti italiani si fossero solo concessi la creazione di film comici, di commedia e i cinepanettoni (cosa che per lungo tempo è stata effettivamente così). La tendenza sta, per fortuna, cambiando. I nuovi registi, le nuove leve, hanno voglia di sperimentare e di esorcizzare i loro malesseri e timori attraverso la macchina da presa. Paolo Strippoli, Stefano Lodovichi e Alessio Liguori ne sono un esempio. I tre registi con i loro "A Classic Horror Story" (che Strippoli ha realizzato in collaborazione con Roberto de Feo); “La Stanza” e “Shortcut” hanno manifestato proprio questa loro voglia di sperimentazione.

L’Heroes International Film Festival ci ha dato l’opportunità di sentire i tre registi e di conoscere i loro pareri intorno questo mondo.

D: Perché scegliete di raccontare una storia attraverso l'orrore?

Paolo Strippoli: io sono cresciuto con l’horror. Io sono pieno di paure, ma proprio tante… per me l’unico modo per esorcizzarle fin da bambino era guardare gli horror. Guardarlo mi dava quella sensazione di non essere solo, mai; farlo, invece, è un modo per me per condividere questa sensazione bellissima che l’horror mi ha sempre dato.
Lo spavento funziona quando la barriera con la realtà viene abbattuta. Quando fai l’horror, provare a creare una narrazione, creare una storia e poi spaventare attraverso questa storia è paradossalmente facile. È più facile raccontare una storia dell’orrore che una storia romantica o drammatica. Perché da quella sensazione di essere nella realtà e a un certo punto, con lo spavento, questa realtà si interrompe. E se tu ti senti al sicuro, in una confort zone, ti basta poco per ricevere questa scossa.

Stefano Lodovichi: io più che di horror, parlo sempre di un mix di generi.
Quali sono veramente gli horror, quali i thriller e via dicendo.
Sono un autore di “generi”, si potrebbe dire; perché ho sempre trovato sia nell’horror che nella fantascienza la possibilità di vivere delle avventure che altrimenti non sarebbero possibili. Penso a tutta la letteratura dell’Ottocento, a tutti gli autori che hanno iniziato a esplorare zone buie e oscure che prima erano soltanto state pensate. Penso soltanto all’antico testamento che ha delle zone di oscurità e di violenza che sono state in qualche modo parte di un sistema che ha cresciuto tutto il sistema occidentale. Partendo da lì, possiamo analizzare dei modi di vivere che sono costantemente parte di noi.
Ad esempio: la paura del buio, che è la paura più ancestrale che abbiamo. È una semplice paura di ciò che non conosciamo. Il bambino ha paura del buio perché non sa se possa esserci qualcuno che nel buio della sua cameretta può osservarlo, ma basta accendere la luce. Quindi basterebbe ragionare per poter fare chiarezza. Quindi partendo da paure che sono universali si possono creare dei mondi che sono degli spaccati meravigliosi. Appunto non il classico quotidiano, ma una classica storia che potrebbe essere quotidiana, ma che in sé potrebbe avere degli spaccati fantastici e straordinari. Penso al viaggio dell’eroe e a tutti gli eroi che possiamo essere e a tutte le avventure che possiamo vivere quando guardiamo un certo tipo di cinema.

Alessio Liguori: anche io fin da bambino ero un grandissimo amante dell’horror e del cinema di genere in generale. E nello specifico, quando ero bambino avevo delle curiosità sull’horror e su ciò che ci celava dietro ogni cosa. E il cinema è l’unico strumento in grado di fornire, ancora oggi, delle risposte attraverso dei mondi inventati e a rispondere alla domanda: cosa c’è dietro quest’angolo buio? L’horror fa questo creando l’esorcismo delle nostre paure più grandi, inoltre è anche una grande esperienza ludica. È come un giro sulle montagne russe e al tempo stesso sono molto divertenti da girare. Dal punto di vista creativo consente al regista di potersi spingere verso strade che altri generi non consentono di intraprendere. Hanno un grande mercato, non hanno tempo perché l’horror risponde a delle paure collettive che non invecchiano mai. In questo momento c’è una grande rinascita del genere horror, c’è un grande fervore, nonostante le paure rimangano sempre le stesse gli spazi di sperimentazione, secondo me, rimangono ancora ampi nonostante il cambiare della società e l’evoluzione delle tecnologie.


Se parliamo di A Classic Horror Story, non possiamo citare gli "slasher movie" e le regole presenti all'interno della narrativa horror, ma soprattutto nei diversi sottogeneri. L'horror contemporaneo sembra un po' sovvertire queste regole modificandole e riappropriandosene:

Paolo Strippoli: girare un film dell’orrore può essere un grande luna park. Un luna park molto serio, molto costoso, nella quale rischi di spezzarti l’osso del collo. Con questa pellicola abbiamo avuto la possibilità di omaggiare il cinema horror della nostra infanzia, con la quale siamo cresciuti io e Roberto.
Poi, a un certo punto, il film fa altro.
Propone questa idea: le classiche storie dell’orrore, quelle di superfice (che si basano solo sulle paure), forse hanno fatto il loro tempo. Forse l’horror contemporaneo deve prendere un’altra direzione e deve guardare il mondo che ci circonda provando ad analizzarlo. 
Il film prova a parlare di una certa tendenza morbosa, uno sguardo eccessivo nei confronti della violenza reale; quella che non appartiene al cinema, ma alle cronache nere. Cerca, però, anche di parlare di come lo spettatore italiano guardi i film dell’orrore che arrivano dal nostro paese e prova a fare ironia sui pregiudizi che spesso nutre. Per noi è stato divertente perché, anche se per me era l’opera prima, Roberto aveva già fatto altro prima e li ha accusati questi pregiudizi, quindi è stato divertente giocarci senza giudizio nei confronti dello spettatore. Anche perchè i pregiudizi non sono totalmente colpa dello spettatore, ma anche di un sistema cinematografico che ha un po’ abbandonato per tanti anni il genere. Si sono fatti pochi horror in vent’anni.

E se vogliamo citare le regole del gioco dell'orrore non possiamo soprassedere sulle location. Esse sono tutto per la riuscita di un buon film, nell'horror assumono un ruolo assai più importante e di maggiore impatto. La scelta del luogo giusto da l'impostazione corretta alla pellicola e al sentimento che in essa viene suggerito. In "Infondo al bosco" e ne "La stanza" abbiamo avuto modo di vedere come l'ambiente sia in grado di prendere vita. 

Stefano Lodovichi: Le location fanno riferimento agli archetipi narrativi.
Il bosco: "nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovati in una selva oscura", quindi sono tutte cose che in realtà abbiamo dentro che ci portano verso un luogo nella quale ci sono gli animali, ci sono delle persone che sono perdute.
La casa è un altro corrispettivo, un altro archetipo, e rappresenta la famiglia; e, in teoria, ci ripara. Ci siamo costruiti delle mura per proteggerci dal mondo esterno, il problema è quando i mostri sono dentro casa. Quindi accadono quegli eventi di dramma familiari, quelle cronache che coinvolgono la famiglia. Quello che noi raccontiamo è la realtà portata allo stremo cercando di fare degli esempi che possano essere apparentemente la cosa più lontana da noi, cercando di vedere la distanza tra noi e l’horror. In realtà l’orrore è più vicino di quel che pensiamo.
La casa, ne “La stanza”, è sicuramente l’elemento centrale. La storia è nata da un documentario che stavo realizzando sugli Hikikomori. Questa è una categoria di ragazzi, nata in Giappone più di venticinque anni fa ormai… ed è una vera e propria etichetta per poter individuare quei ragazzi che si chiudono in casa. Le motivazioni sono ben profonde, ma possiamo banalizzarle e riassumerle -così da avere un’idea in generale sul fenomeno- dicendo che per colpa della depressione non riescono ad affrontare il mondo esterno. Spesso questi ragazzi non riescono a superare quei contrasti e quelle difficoltà che ci sono nella vita esterna e reale. Allora trovano rifugio, davanti a queste difficoltà, chiudendosi in camera con i loro smartphone e i loro computer, con quei supporti che permettono loro di costruire un avatar con la quale costruire altre vite.
Ho cercato di creare questo documentario sugli Hikikomori in Italia, ho trovato una ragazza con la quale dovevo fare degli incontri per raccontare la sua esperienza. Poi è stato molto complicato portare avanti questo progetto, perché quando tratti argomenti del genere è sempre molto complicato trattarli in profondità, con la giusta attenzione. In quel caso non sono riuscito a portarlo avanti e ho cercato di tradurre quella storia in un prodotto di finzione partendo da qualcosa di cuore come questa stanza, ma costruendo tutto quello che c’è intorno. Quindi portando all’estremo le dinamiche familiari per dar vita a una narrazione di genere che tocca diverse caratteristiche: il drama familiare, il thriller psicologico, ma anche la fantascienza.

In Shortcut, invece, la location è una sorta di prigione che ingabbia i protagonisti: 
Il film nasce dall’intuizione dello sceneggiatore, Daniele Cosci, che ricorda i periodi meravigliosi della nostra infanzia. Quando ritornavamo a casa con lo scuolabus e provando a immaginare cosa sarebbe potuto succedere se durante il tragitto si fosse presentato un ostacolo. Il cuore del film è, in realtà, una storia d’amicizia e di coraggio, dove l’unico modo che questi ragazzi hanno per riuscire a ritornare a casa è quello di abbandonare i loro smartphone e il loro individualismo; così da poter sfruttare le loro capacità per la piccola collettività che hanno creato. Solo attraverso il gruppo riescono a vincere le loro difficoltà. Ovviamente l’ispirazione nasce da quei grandi film che hanno fatto parte della mia infanzia, non necessariamente horror, tra cui “I Goonies”. Mentre dal punto di vista musical prende ispirazione da Stranger Things che a sua volta è una serie che si rifà al cinema degli anni Ottanta.
Il pulmino è l’elemento chiave del film. Inizialmente c’era grande indecisione su dove ambientare la pellicola, nello specifico dove farlo in Italia. Ma era comunque fondamentale l’attenzione data al pulmino perché volevo un qualcosa che fosse iconico e ho scoperto che in Italia siamo stati maestri di design anche per quanto riguarda questo tipo di mezzi di trasporto.

Anticipazioni sui prossimi lavori:

Paolo Strippoli: Piove, il suo prossimo film, arriverà nelle sale il prossimo anno. È un film che è un incontro tra dramma familiare e horror psicologico. Parla di un padre e di un figlio che hanno perso la donna più importante della loro vita: la moglie per il primo, la madre per il secondo. Si danno la colpa a vicenda per questa vicenda e la loro rabbia crescerà in modo paranormale in loro. È un film al quale tengo tanto, un film molto oscuro e cupo e spero che lo possiate vedere presto.

Alessio Liguori: il mio prossimo film è attualmente in post-produzione. Questo è ambientato in uno yatch in mare aperto, tre coppie che decidono di festeggiare un compleanno e si risvegliano una mattina privi di senso in questo yatch senza sapere esattamente cosa sia successo. L’unica cosa che riescono a verificare è il non funzionamento del motore e l’assenza di cibo e acqua.

Stefano Lodovichi: Chris è una serie una serie in co-produzione Lucky Red e Sky. Questa è in post-produzione, quindi vedrete presto la prima stagione e io sto già lavorando alla scrittura della seconda.

In attesa, dunque, di vedere i prossimi lavori di questi tre registi, noi di 4Muses speriamo che questo genere possa essere sempre più proficuo e possa riuscire a fortificare il suo immaginario proprio nel nostro territorio. 

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