lunedì 1 maggio 2023

#Pensieri: Il peso del coraggio

Quando ho letto “Il peso del coraggio”, di Michele Navarra mi sono, ovviamente, ricordata della canzone omonima di Fiorella Mannoia, presentata al Festival di Sanremo 2019 da ospite.

Riascoltandola e analizzandone il testo non mi sono capacitata di come il suo potente messaggio non sia riuscito a riecheggiare come avrebbe dovuto negli anni seguenti.
Non sto parlando di pseudo complotti o cattiva gestione della Pandemia, ma di come spesso e volentieri l’essere umano si creda padrone indiscusso di tutto, illudendosi di ottenere il pieno controllo sulla propria e di come questa convinzione porti alla deteriorazione dell’individuo stesso e di conseguenza dell’intera umanità.

Perché sì, come dico sempre: noi siamo l’Uno, di conseguenza siamo tutti quanti. “Gli altri siamo noi” verrebbe da dire citando un’altra canzone pilastro della musica italiana. Ogni nostra decisione ha una sua risonanza che può arrivare fino all’altra parte del pianeta.
Come comportarci, quindi? Cosa è davvero importante? Ce lo spiega egregiamente il brano di Fiorella Mannoia, scritto da Amara e Marialuisa De Prisco

Sono questi vuoti d’aria
questi vuoti di felicità
queste assurde convinzioni
tutte queste distrazioni
a farci perdere.

Sono come buchi neri
questi buchi nei pensieri
si fa finta di niente
lo facciamo da sempre
ci si dimentica

Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
ognuno ha i suoi diritti, ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio.

Non smetterò mai di dire quanto sia fondamentale trovare un momento nella giornata, che sia anche di cinque minuti per raccogliersi nel silenzio del proprio essere. Possiamo chiamarlo meditare, pregare, come vogliamo: l’importante è stare soli con se stessi, senza alcuna distrazione. Più si sta in questa condizione, infatti, più si è vicini all’assaporare la vera felicità, quella che non viene per un motivo, ma perché si decide di averla.
Attenzione: ovviamente non sto parlando che sia facile, soprattutto se si è affetti da disturbi dell’umore.

Raccontarsi che si sta meditando mentre si cammina o mentre si fa qualsiasi altra cosa è un po’ prenderci in giro, perché la distrazione è dietro l’angolo e ci dimentichiamo, appunto, che ognuno di noi è qui per un motivo.

La nostra realtà, quindi, può essere giusta solo ed esclusivamente per noi stessi. Ognuno ha la sua strada, il suo obiettivo, il suo sentiero da prendere. Certo, questo non vuol dire che siamo soli al mondo, interagiamo e spesso cambiamo le vite degli altri, ma bisogna tenere bene a mente un fatto importantissimo: mai – per nessun motivo – dovremmo cercare di controllare la vita di chi abbiamo accanto.

Ognuno di noi sa cosa vuole, noi non siamo nessuno per mettere bocca. È normale preoccuparsi quando vediamo qualcuno in difficoltà e di certo non lasciamo isolato chi ha davvero bisogno d’aiuto, però è tutta lì la questione: ponderare seriamente ogni situazione, capendo così quando è il momento di tacere e quando quello di intervenire.

E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
che sono sempre meno le persone amiche
che non esiste resa senza pentimento
che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo.

E ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono
che gli amori anche i più grandi poi finiscono
che non c’è niente di sbagliato in un perdono
che se non sbaglio non capisco io chi sono.

Il ritornello è di una verità che quasi sconvolge.

Ci sono ferite che non possono essere guarite in una vita, sono quelle con le quali bisogna convivere curandole, per non farle peggiorare. Penso sia poi una realtà visibile già ai trentenni/quarantenni: gli amici, nel vero senso del termine, di norma non superano il numero cinque. Il resto, crescendo, lo si cataloga nelle conoscenze. E non è una questione di “podio”, di gara dell’affetto. Si arriva a un punto in cui ci si deve per forza di cose volere bene, questo bene aiuta a catalogare meglio le persone che abbiamo al nostro fianco, creando degli standard che proprio non possono essere bassi. Arrivare a capire ciò è sicuramente una resa – una delle tante che ci porta il nostro amato terzo decennio di vita – dopo le mille delusioni, le miriadi di cadute.

Il piccolo principe ci direbbe, a ragione, che non possiamo odiare tutte le rose solo perché una ci ha punto; noi vogliamo aggiungere anche che non possiamo pretendere che tutti ci capiscano, che tutti siano perfetti, che nessuno più ci faccia del male. Ogni relazione ha una sua fine, voluta o non ma tutto serve per crescere.     
Se non sbagliassimo, come potremmo poi cambiare rotta e giungere dove eravamo destinati? Mi potete rispondere che la vita è tutta un caso, che non c’è nulla di già scelto, e posso darvi anche ragione, filosoficamente parlando. Ma vedete, in verità nessuno di noi sa sul serio. Nessuno di noi può avere in mano la prova della propria teoria. Che sia tutto predestinato o no, sono gli sbagli a farci cambiare rotta e alla fine della fiera conta dove e come siamo arrivati, non quello che abbiamo perso lungo la via.

Sono queste devozioni
queste manie di superiorità
c’è chi fa ancora la guerra
chi non conosce vergogna
chi si dimentica

[Rit.]

E ho capito che non serve il tempo alle ferite
che sono sempre meno le persone unite
che non esiste azione senza conseguenza
chi ha torto e chi ha ragione quando un bambino muore?

E allora stiamo ancora zitti perché così ci preferiscono
tutti zitti come cani che obbediscono
ci vorrebbe più rispetto
ci vorrebbe più attenzione
se si parla della vita
se parliamo di persone.

Ed ecco che qui si arriva al concetto di umanità. Avendo capito che ogni storia è a sé, cosa è davvero importante? Se ogni nostra azione ha una sua conseguenza, anche a livello mondiale – ne abbiamo parlato anche nell’articolo recensione al libro “Il pensiero bianco” – cosa è davvero importante? È così fondamentale battersi con il proprio conoscente se è vaccinato o no? Se vota questo o quest’altro? Sapendo che solo con un click su un sito online si può fomentare il lavoro minorile, o mettere il carico sulle pessime condizioni dei minatori dall’altra parte del mondo, con questa consapevolezza, io posso davvero continuare a battermi per quisquiglie?

Certo, in molti possono pensare che stiamo esagerando, che non si sta facendo nulla di male nel comprare qualcosa sottocosto, o nell’acquistare l’ultimo modello elettronico solo per rimanere al passo, ma non è forse tapparsi gli occhi di fronte al vero orrore, la causa principale del perpetrare tale orrore?

Living is easy with eyes closed/misunderstanding all you see” (“È facile vivere con gli occhi chiusi/fraintendendo tutto quello che vedi”) cantavano i Beatles; io credo che quel flusso di pensieri inconsci sulla sua infanzia avuto da John Lennon fosse anche un monito per noi stessi: non possiamo più fingere di stare bene in un mondo dove tutto va come deve solo perché lo schifo non tocca a noi.

Siamo il silenzio che resta dopo le parole
siamo la voce che può arrivare dove vuole
siamo il confine della nostra libertà
siamo noi l’umanità.
Siamo il diritto di cambiare tutto e di ricominciare

Con questo articolo, e con la voce della Mannoia, ho una sola speranza: che almeno una persona si fermi nell’arco della sua giornata e presti attenzione a qualcosa che ha sempre ignorato, così da ampliare sempre di più il confine della propria libertà. E sì, ci vuole coraggio.

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