mercoledì 17 novembre 2021

#Arte: Julian Opie

Facciamo un salto indietro a più di un anno fa, facciamo un salto indietro a quando qui sul blog, di ritorno dalla capitale portoghese, vi abbiamo parlato della nostra esperienza - strettamentre personale - avuta al Museu Coleção Berardo di Lisbona, e del nostro conflittuale rapporto con l'arte moderna e contemporanea.

In questo articolo non ripeteremo le medesime cose scritte in quello precedente: se avete anche solo il minimo interesse nel sapere come la nostra considerazione di questi due periodi storici sia cambiata completamente dopo aver visitato il museo più importante del Portogallo, sapete dove cliccare; noi, oggi vogliamo parlarvi di Julian Opie e della sua particolare arte.
Dell'artista e della sua vita, in realtà, si conosce ben poco. È nato nel 1958 a Londra ed è cresciuto a Oxford, dove ha frequentato il Magdalen College School dal 1972 al 1977 e successivamente la Goldsmiths University of London, dove è stato allievo dell'artista concettuale Michael Craig-Martin dal 1979 fino al 1982. La sua prima mostra è stata allestita nel 1983 alla Lisson Gallery di Londra (fondata nel 1967 nel quartiere di Marylebone, nella capitale inglese, ma con sede anche a New York).

Inizialmente i suoi lavori non erano altro che installazioni in ferro, ma con il passare degli anni la sua arte divenne degna di far parte del movimento della New British Sculpture, movimento nato nei primi anni '80 a Londra, e che si può sommariamente riassumere con una parola e una parola soltanto: kitsch. Nel corso degli anni la sua arte maturò sempre di più, e Opie spaziò dalle installazioni in ferro, passando dai cartelloni pubblicitari alle copertine degli album musicali (un chiaro e conosciuto esempio può essere la copertina di "Blur: The Best Of", uscito nell'Ottobre del 2000) o ancora alle esposizioni in LED (gli U2 le utilizzarono durante il Vertigo Tour nel 2002).

A distanza di quasi quattro decenni dalla sua prima esibizione, Julian Opie ha continuato a esibire la sua arte non solo nel Regno Unito, ma anche in paesi come Australia, Giappone, Corea del Sud, Cina, Indonesia, USA, Canada, Repubblica Ceca, Norvegia, Finlandia, Germania, Italia, Polonia, Irlanda, Francia, Svizzera, Spagna e, ovviamente, Portogallo.

Nella sua prima mostra a Lisbona l'artista sembra aver dato il meglio di sé: oltre alle stanze a lui
dedicate all'interno del museo, le sue installazioni si espandevano alla piazza di fronte al Jerónimos Monastery (diventata parte del suo progetto), così come ai giardini interni del Centro Cultural de Belém. L'abbiamo già accennato nell'articolo di un anno fa, ma trovarsi di fronte alle sue opere non è stata un'esperienza da poco: a differenza di tanti arti artisti molto più conosciuti e mainstream a colpire non sono i disegni mozzafiato o la tecnica pittorica impeccabile, ma la maestosità di molte delle sue installazioni e la sensazione di alienazione che si prova di fronte a esse. Potete anche darci delle esagerate, ma vi assicuriamo che anche voi avreste pensato ciò di fronte a delle opere alte a volte otto metri, a volte alte fino al soffitto.

E siamo convinte che parlare di senso di alienazione con le opere di Opie non sia un concetto così nuovo. Sono le persone a essere le protagoniste assolute delle sue opere, nella maggior parte dei casi, spesso e volentieri senza volto, senza dettagli e raffigurate su vari materiali. A volte sono ferme e a volte sono in movimento, ma fanno quasi tutte la stessa cosa: camminano. Camminano e basta, senza guardarsi, senza toccarsi, senza fare realmente qualcosa. La capite da soli l'antifona o dobbiamo spiegarla?

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