lunedì 29 novembre 2021

#PennyLane: I'm a Loser, capitolo III

⚠️ VM.18

Questa è un'opera di fantasia. La storia che segue è frutto dell'immaginazione dell'autore e non è da considerarsi reale. È una fan fiction ispirata al testo della canzone "Penny Lane" dei Beatles, i quali detengono i diritti sul brano.
Ascoltando il brano e traducendolo quando avevo tredici anni, mi è venuta in mente questa storia, che è quindi soltanto una mia personale interpretazione della quale detengo ogni diritto.
 Baciandola, lei non avrebbe visto i suoi occhi. Non avrebbe letto dentro il suo sguardo tutte le parole d’amore, odio, rancore e sofferenza che ha scritto e cantato per lei. Vorrebbe smetterla, fare finta di niente, prendere la chitarra, accordarla e chiedere a Paul: “Allora, da cosa cominciamo?”.
Al diavolo le prove, al diavolo il suo passato. Ha voglia di farla sua, anche con Paul. Quanto le è mancata. Le dita arrivano ad accarezzarle il collo, ma è solo per orgoglio se si ferma. Amor proprio o alterigia? Fierezza o vigliaccheria? Difficile capirlo, soprattutto con la lingua dentro la bocca di Agatha. Dio, quanto ha sognato quei baci. Si stacca da lei, manda giù la saliva. La vede sentirsi colpevole, “e fa bene” si dice nella testa.
«Sei sposata.» ha visto l’anello d’oro sull’anulare sinistro subito, appena entrato in sala.
«Sì.»
John si volta. Con uno scatto di ira fa cadere il tavolino. I fogli con gli spartiti che per tutta la notte precedente hanno provato, modificato e perfezionato fino alla nausea, volano per pochi secondi, fino a posarsi scompostamente sul legno del pavimento. Paul tenta di avvicinarsi a lui, ma lo sguardo glaciale del compagno lo blocca.     
 
Agatha non vuole parlare, conosce John e sa che è impaurito dalle emozioni che non può controllare. Per lui sono come un terremoto con l’unico intento di farlo crollare, prima o poi. È meglio rimanere fermi, immobili, per concedergli ciò di cui ha bisogno: tempo. Lei l’ha sempre capito, lei sa quando è il momento di lasciarlo stare, lei ha sempre aspettato che i suoi demoni interni si placassero.

Le voci nella testa di John glielo ripetono sempre: “Lei sa, Paul sa.” Loro sanno come fare. Si accovaccia a terra, con la testa tra le mani. Ora ha bisogno di zittirle. Non vuole perdonarla, non è ancora tempo.
«Perché sei qui?» non lo chiede con gentilezza, è impassibile, forse ironico, di certo spaventato.
«Voglio sapere il perché di Penny Lane.»
John sospira, le labbra si distendono in una smorfia quasi ironica. “Ora lei vorrebbe sapere il perché di una canzone, e magari dovrei anche dirglielo. Che si fotta”.
Ci pensa Paul a prendere la parola. «Ti volevamo dire addio.»
John si passa la lingua sulle labbra fini, seccato. «E adesso sei qui. Noi volevamo dirti addio, e tu sei qui. Non ti volevamo...» Allarga le braccia. “Come le piattole prese da una puttana” ma non esprime quel pensiero. «Non fai mai ciò che dovresti fare. Sei rimasta la solita bambina viziata che ha un giocattolo, poi lo lascia stare quando si stufa, e poi lo rivuole quando è troppo tardi.»
Agatha comincia ad agitarsi, cosciente di non meritarsi tutto ciò. Sì, è sparita, ma ha vissuto con la consapevolezza di essere stata dimenticata, abbandonata, buttata in un angolo dei loro ricordi. «Io non potevo sapere…»
«No, infatti! Tu non sai!» John avanza verso di lei. Passi calmi, tono calmo. «Tu hai preferito mollare tutto, perché? Perché te l’ha detto tuo padre? Perché quel grassone ti aveva messo in testa che non potevi vivere una vita nel lusso?» La guarda senza dimostrarle nessun tipo di emozione, ed è questo che la ferisce.
«Non me ne è mai fregato nulla del lusso, lo sai.»
John rimane in silenzio, certo che lo sa. Deve solo farla soffrire quanto soffre lui. «Siediti su quella sedia.»
Agatha ubbidisce, tanto sa che non può fare nient’altro che assecondarlo.
John prende la chitarra acustica. «Che c’è, vuoi farle una serenata ora?» Paul cerca di sdrammatizzare, John gli sorride bonariamente, ma quando guarda in direzione di Agatha, il sorriso diventa cinico. Ci sarà una canzone in arrivo, ma non sarà piacevole: sarà un castigo e ne sono tutti consapevoli. Paul si mette dietro di lei con fare protettivo; le mani sulle spalle, sperando così di confortarla.
John rialza il tavolino e si appoggia su di esso, davanti ai due. La chitarra comodamente posata sulla coscia destra. La guarda, chiude gli occhi solo un attimo prima di iniziare a cantare.       

“I’m a loser/I’m a loser/And I’m not what I appear to be”

Paul sospira, conosce bene la canzone, ovviamente. Agatha ha il cuore in gola. Non sa in che anno sia stata pubblicata, né se sia stata effettivamente pubblicata. Può solo continuare ad ascoltare.       

“Of all the love I have won or have lost/There is one love I should never crossed/She was a girl in a milion, my friend/I should have known she would win in the end”

Agatha scuote la testa, lei non sente di aver vinto. John continua, il ritmo sempre più incalzante, così distante dal significato di quelle parole ma così vicino al suo carattere che nasconde la sofferenza dietro una maschera piena di spocchia.    

 “I’m a loser/And I lost someone who’s near to me/I’m a loser/And I’m not what I appear to be”

Paul abbandona la sala per lasciarli soli. Il battito del cuore di Agatha aumenta, così come il suo respiro. La punizione continua e per quanto lei vorrebbe andare via, rimane seduta. Pensa, in un certo senso, di meritarsela.     

 “Although I laugh and I act like a clown/Beneath this mask I am wearing a frown/My tears are falling like a rain from the sky/Is it for her or myself that I cry?”

Le parole denudano John lasciandolo con l’anima scoperta. Ha pianto per ciò che hanno vissuto, perché lei è andata via. Si è sempre comportato come se nulla fosse, nonostante si sia sempre tormentato per quella storia finita. Anche Agatha piange, abbassa lo sguardo per non farsi vedere, ma dopo il ritornello John dice: «Guardami». È un ordine. Muove la testa al ritmo della chitarra, sembra divertirsi, appagato dal senso di colpevolezza della ragazza.     

“What I have done to deserve such a fate?/I realize I have left it too late/And so it’s true, pride comes before a fall/I’m telling you so that you won’t lose all”

Agatha ne ha abbastanza, si alza. John posa la chitarra sulla sedia, lasciando la canzone inconclusa. Non gli importa: ha colpito nel segno. Le ha mostrato tutto il rancore: il cerotto messo sopra una ferita profonda e ancora sanguinante. Va avanti perché finge, non vuole chiudere quella ferita, almeno non con le sue mani. Se c’è una persona che può cicatrizzarla, quella è Agatha. Ha un bisogno fisico ed emotivo di lei, ora più di prima. E non gli importa della vita che fanno tutti e tre adesso, lui la vuole.

«È inutile che mi segui, ok, ho capito: sono stata una stronza che vi ha ferito mortalmente ed è grazie a me se oggi non riuscite più ad amare, anche se la compagnia femminile di certo non vi manca…»
«No. Sei quella che continuiamo ad amare, anche se stronza lo sei.»
Agatha abbassa le spalle, arresa, vinta. Si avvicina a John, accarezzandogli la guancia. È totalmente mutato rispetto a qualche minuto prima: ora appare indifeso, quasi piccolo, nonostante i tredici centimetri che ha in più rispetto a lei.
È il John tornato calmo, nei suoi occhi ritrova il motivo per cui rimaneva salda nella scelta di vivere una storia d’amore a tre a fine anni cinquanta. C’è un sentimento che si risveglia, amore? Probabilmente solo nostalgia della propria gioventù.
«Io pensavo non mi voleste più…»
«Questo perché non ti sei fidata di noi.»
«Io non appartengo al vostro mondo.»
«Esatto. Tu appartieni a noi.»
«Ormai è troppo tardi.»
«Hai ragione. Vattene.» John sorride dopo la sua battuta. È sereno, lo rivelano i suoi occhi.
«Sono incinta»
È la prima volta che lo dice ad alta voce. E la prima persona a cui lo dice, è anche l’ultima che avrebbe dovuto saperlo.

Nessun commento:

Posta un commento