martedì 4 gennaio 2022

#Cinema&SerieTv: West Side Story - Recensione

Come tutte le cose, arrivati a Dicembre, anche il cinema deve tirare le proprie somme e non si può fare a meno di trattare il trend “musical” adesso che in sala c’è un piccolo pezzo di cinema ri-fatto da un regista come Steven Spielberg. "West Side Story" è, infatti, la versione del regista di un classico degli anni sessanta che a sua volta è stata il primo riadattamento cinematografico di un’opera teatrale di Leonard Bernstein, Stephen Sondheim e Arthur Laurents. Ma perché parliamo di tirare le somme? Perché il collegamento che vogliamo fare noi, per poter parlare di questo film, non è tanto con la sua versione del 1961, ma con le altre pellicole che siano approdate in sala in questo anno.

Cerchiamo, però, di procedere con ordine. Il film che Spielberg ci propone è l’esatta versione di ciò che si può veder nella versione classica e se siete amanti del genere, sicuramente, non potete fare a meno di cantare le canzoni che sono entrate nell’immaginario pop anche grazie a serie tv come "Glee". Ma, sì, c’è un ma grande quanto una casa, si nota quello che è il personalissimo tocco che il solo regista avrebbe potuto dare. La potenza delle coreografie, la violenza, le emozioni dei personaggi sono rese tangibili in ogni loro più piccolo aspetto. Non vi neghiamo, anzi lo sottolineiamo, che è possibile siano tutte sensazioni che lo spettatore può quasi vivere sulla propria pelle, tanto da sobbalzare sulla poltrona per la voracità con cui i pugni si scontrano.
La storia, qualora voi non la conosciate, è una rivisitazione del più antico Romeo e Giulietta. Una storia che continua a essere attuale quando continua a raccontare una verità, cioè: quanto le etichette e i nazionalismi territoriali continuino a separare impedendo la comprensione e la comunicazione. Romeo, in questo caso è Tony (interpretato di Ansel Elgort, già protagonista di "Colpa delle Stelle"); mentre Giulietta è Maria (Rachel Zegler). La loro divisione è data, ovviamente, dalle loro origini natie: il primo è uno Yankee, un componente degli Jets - la banda che cerca di controllare i bassi fondi di New York - e, la seconda, invece, è portoricana; e suo fratello Bernando (David Alvarez) controlla gli Sharks - la gang portoricana che, invece, cerca di mantenere il neo possesso su quelle stesse strade - non è di certo concorde all’idea che i due possano frequentarsi.

Non vi racconteremo la trama, anche perché è facilmente intuibile ed è anche nota ai più, ma ci soffermeremo su quanto attuale continui a essere questa storia. West Side Story, infatti, nonostante riporti il pubblico all’interno degli anni cinquanta ha una sua riconoscibilità e un suo senso d’esistere. È una storia che merita di esser raccontata e ancora una volta ribattuta sotto una lente di ingrandimento diversa che sia in grado di metter in luce la cruda durezza della violenza. Siamo, del resto, all’indomani di scontri che hanno sconvolto sia l’opinione pubblica occidentale, che la società americana. Abbiamo superato lotte intestine che continuano a verificarsi con la stessa violenza e la stessa voracità di sessant’anni fa. Una lotta classista, fatta di etichette, di intolleranza e di sogni infranti, il tutto rinfrescato all’interno dello spettro cromatico creato da Spielberg. Un film che, dunque, per noi mette in luce l’esigenza di raccontare certe diversità e certe problematiche, presenti tutt’oggi, ma che emergono anche in altre pellicole arrivate in sala quest’anno.

Infatti, adesso torniamo a tirare le somme. West Side Story è un film che merita il suo respiro all’interno della sala cinematografica. L’estetica, ripulita e minimale, quella che fa capire che il tutto sia all’interno di in unico grande teatro di posa si pone come punto di confine tra la teatralità e la pomposità della precedente versione filmica. Allo stesso tempo, i colori vibranti dei costumi e della fotografia permettono -come avevamo detto precedentemente- di poter vivere sulla propria pelle le emozioni dei nostri protagonisti. È un film che diverte, che piace, che appassiona. Una pellicola che merita la sua esistenza nonostante il nome e la fama che porta con sé. Le similitudini con la sua precedente versione fanno comprendere quanto sia stata di formazione per il regista che, adesso, in età adulta, si concede il lusso di poter rimescolare le carte in tavola connotandole delle proprie personalissime spezie.

Siamo nei bassi fondi di New York, lo ricordiamo e ci viene ricordato, ma è proprio di questa gente che è necessario parlare. E del resto, se ci pensate bene, è un po’ quello che sta facendo da tempo Lin-Manuel Miranda con le storie che crea e con i musical che porta in scena. Basti pensare alla sua versione della storia di Hamilton e al modo con cui è stata portata in scena, ma soprattutto al film arrivato quest’estate in sala: "Sognando a New York". Il Sud America che ha iniziato a popolare le strade americane, quella stessa gente che si continua a vedere eretti dei muri e delle difficoltà, che invece adesso ha bisogno di trovare il suo spazio nella rappresentazione dell’immaginario collettivo. Certo, West Side Story è una chicca musicale che ha fatto da apri pista ai suoi tempi e che continua a farlo oggi, e la versione di Spielberg ne prende tutte le caratteristiche. Quindi il paragone è fatto più per i contenuti e le esigenze narrative che non tanto per la realizzazione in sé.

In ultima battuta è un remake che merita non solo d’esistere, ma che è davvero godibile.

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