giovedì 6 gennaio 2022

#Costume&Società: Ritmo 0

Quante volte rimaniamo attoniti davanti al telegiornale, quando veniamo a sapere di qualche indicibile massacro? Di solito il primo pensiero è sempre che il soggetto non era mentalmente stabile, c’è addirittura chi dà la colpa a un qualche tipo di possessione, quando in realtà la violenza è insita nell’essere umano. Tutti possiamo commettere atti che siamo i primi a condannare. Non ci credete? Oggi vi parliamo della performance Rhythm 0 (Ritmo 0) dell’artista Marina Abramovic.

Più che di una performance, si tratta di un vero e proprio esperimento sociale. L’artista Abramovic rimase per sei ore, dalle 20:00 alle 02:00, in balia del suo pubblico. Nella galleria Morra di Napoli, allestì un tavolo su cui erano posti diversi oggetti, da una piuma alle forbici, da una rosa a una pistola, da un gomitolo a una frusta. In tutto c’erano settantadue oggetti e un foglio con delle istruzioni: “Io sono l’oggetto” e: “Mi assumo completamente la responsabilità di quello che faccio.” L’artista doveva solo rimanere ferma, diventando davvero una cosa inanimata, in totale balia del prossimo a cui non si sarebbe opposta. Sei ore di totale immobilità. 

Si creò quindi un manipolo di curiosi, che inizialmente si limitò a osservarla, per poi passare all’azione. Prima fu la volta di carezze, di comportamenti gentili, come essere sfiorata da una piuma o da una rosa. La donna non opponeva alcuna resistenza e la sua presunta accondiscendenza scatenò reazioni via via sempre più violente: con il passare delle ore si passò a denudarla, a compiere atti osceni verso la sua persona, fino a ferirla con le spine della rosa stessa e addirittura a infliggere tagli profondi. Davanti al suo silenzio e alle sue lacrime, la performance divenne sempre più brutale, fino a quando non le venne messa una pistola carica tra le mani e un dito appoggiato sul grilletto. Il proprietario della galleria, temendo il peggio, buttò immediatamente via l’arma.

Trascorse le sei ore, l’artista smise di fingersi oggetto e “tornò” umana. Si avvicinò al suo pubblico, ma tutti quelli che avevano abusato di lei e del suo essere inerme lasciarono immediatamente la galleria o cercarono in tutti i modi di evitare il suo sguardo.

Questo esperimento sociale risale al 1974, ma è attualissimo. Lo scopo della performance era vedere fino a cosa si sarebbe spinto l’essere umano davanti a qualcuno di indifeso. Con un corpo a disposizione e la libertà di agire, ecco che emerge l’istinto animalesco dell’uomo. Ma anche chi non era stato assolutamente umano con lei, poi, sfuggiva al suo sguardo. Perché? Riconoscevano di aver oltrepassato un limite, quindi ecco che entrava in azione il senso di colpa e di disgusto nei propri riguardi. La donna, che aveva usato il suo corpo per mettere in mostra la debolezza della psiche umana, aveva posto sotto gli occhi di tutti una incredibile verità: in circostanze favorevoli, non vi è alcuna remora nel ferire l’altro. 

Metteteci anche il fatto che fino alla pistola in mano, nessuno era ancora intervenuto ed ecco mostrato un lato nascosto che tendiamo a negare. Sordi alla sofferenza dell’altro, anche la persona più mite può dimostrarsi un carnefice.

È impressionante pensare a quanto tutto questo sia attuale. Quante volte voltiamo la testa per non guardare o sfoghiamo la nostra frustrazione sull’altro? Quante volte non notiamo la sofferenza altrui e perpetuiamo certi comportamenti? Abramovic era una performer, ma quante volte uomini e donne vengono uccisi da un partner troppo violento? 

Quante volte il branco uccide? Ci affidiamo alla maggioranza perché fare gruppo ci rassicura, ma siamo ancora in grado di ragionare con la nostra testa e scegliere la strada giusta? Perché tra un gomitolo di lana e un coltello, davanti al silenzio della “vittima” si è scelta l’arma? E se questo esperimento venisse riproposto oggi, ben quarantasei anni dopo, quanti interverrebbero in difesa della donna? Quanti userebbero, invece, la violenza su di lei? L’omertà e la violenza non sono mai svanite.

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