giovedì 27 gennaio 2022

#Libri: La grande illusione (I nostri anni sessanta)

La generazione dei baby-boomers, i nati tra il 1945 e il 1964, ha decisamente segnato un’epoca. La studiamo a scuola, ci interfacciamo con loro nel quotidiano - per lo più sono i nostri genitori - o nelle prese in giro sui social. Nel bene o nel male hanno contribuito al cambiamento della società e come sempre, non ce la sentiamo di etichettarli con epiteti positivi o negativi. È sicuramente una generazione che ha voluto la libertà, il distaccarsi completamente dal pensiero dei loro genitori, lo stesso che una manciata di anni prima la loro nascita ha portato in Europa l’orrore dell’olocausto e delle dittature. Ma è anche una generazione dai complessi controsensi, dal sogno della libertà all’incubo di una realtà sempre uguale e che imprigiona giorno dopo giorno.

Da amanti degli anni sessanta, non potevamo esimerci dal leggere il libro, uscito nel 1996, di Marta Boneschi, giornalista e “boomer” che, con non poca fatica, ha cercato di scrollarsi di dosso quei ricordi illusori di un decennio dove
tutto andava bene. Ci ha mostrato, invece, un’Italia allo sbando, una prima classe politica democratica che di libertà sapeva e predicava ben poco. Giovani che volevano amare senza limiti, ma che erano perennemente sotto torchio dalla famiglia, dalla società e persino dalla censura. 
“Questo è il decennio dei sogni e delle illusioni, del vivace dibattito su come fare per essere davvero moderni, civili e giusti; è una stagione di idee e speranze, fervida e utile, ma inesorabilmente destinata alla sconfitta.” 
 
Il libro è composto da quattordici capitoli, ognuno con i propri paragrafi. Tra descrizioni di moda, usi e costumi, ci ritroviamo in quel pensiero che per anni abbiamo avuto mentre ci affacciavamo allo studio della storia contemporanea. Noi di 4Muses siamo tre Millenials (i nati tra il 1981 e il 1995) e una della Generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2010), eppure non crediamo molto alla distinzione tra generazioni. Sappiamo che è un metodo per studiare meglio la società, per trovare punti in comune e cercare di controllare i fenomeni sociali che da sempre partono dai giovani. Ed è forse proprio la consapevolezza a distinguerci dalla generazione boomer.

Tra le pagine del libro, infatti, abbiamo trovato racconti e parole riportate da spezzoni di giornali o interviste che hanno molta incoerenza tra loro. Una generazione italiana che ha iniziato a essere più colta, con l’età dell’obbligo alzata a undici prima e quattordici anni poi, e con l’Università aperta a tutti, ma che fatica a sapere sul serio. Alcuni titoli letterali trovano la censura, e succede anche nel mondo della musica del nostro paese, dove vanno per la maggiore canzonette superficiali e di poco senso, sempre trasmesse alla radio o nelle trasmissioni televisive. Canzoni che entrano in testa, e che fanno credere siano pezzi di storia. Nell’ombra, però, ci sono i veri artisti impegnati che fanno fatica a emergere. Le rivolte studentesche hanno completamente eliminato quel poco di autorità che era necessaria per formare menti e persone del domani, così che ci siamo ritrovati, dagli anni settanta in poi, una classe dirigente incompetente e poco incline al lavoro.

Il decennio delle furbate, dove la buon costume regna sovrana, pronta a multare una strofa o un bikini, ma con il resto del corpo di polizia che chiude gli occhi davanti ai soprusi delle manifestazioni, dell’evasione fiscale, o della mafia. In tutta Italia vengono su, senza un minimo di logica o un piano regolatore edilizio, interi quartieri senza un minimo di logica. Per non parlare dell
incuria e del controllo inesistente del terreno o di possibili disastri naturali.

L’Irpinia trema, Courmayeur frana, migliaia di persone vivranno in baracche per anni, eppure il sociale ha gli occhi puntati solo sul Vietnam, altro fenomeno importante, certamente, ma perché fissarsi solo sull’esterno? L’unica eccezione la fa l’Arno che straripa, e forse perché Firenze ha in pericolo la cultura, i giovani del ‘66 si mobilitano. 
 
“Che sarebbe un capitalismo dal volto umano: invece di trattare i lavoratori come bestie, esso consente loro di acquistare l’automobile e il televisore, addormentandone la coscienza di classe.”

Eppure gli stessi tornano poi a sognare l’URSS, la Cina, ci si chiede: perché i boomer, ragazzi nati dopo la guerra, che pubblicamente sminuiscono i genitori per aver lasciato che Mussolini ottenesse il potere, gli stessi che predicano amore e libertà, hanno così a cuore personaggi politici dall’indubbia morale? Acclamano Mao Tse-Tung, intonando messaggi d’amore lanciati dai Beatles -fenomeno che forse in Italia non ha lo stesso risalto rispetto al resto del mondo, ma che comunque è arrivato- salvo dimenticarsi che gli stessi quattro di Liverpool lo abborrano.

Una società giovane che tenta di liberarsi dai tabù del sesso, ma che crocifigge Mina o Sophia Loren ree di amare persone già sposate -il divorzio in Italia sarà legale solo dal 1° dicembre 1970- e fa scena muta sugli orrori della Chiesa ai danni di minori. Una società che parla di “comunità”, che agogna il vivere insieme, ma che appena diventa adulta si isola sempre di più in appartamenti freddi, scaldati solo dal calore di una televisione perennemente accesa. 
 
“La televisione, un consumo «buono», che aveva avuto il merito di aprire l’orizzonte agli italiani, di rinsaldare l’unità nazionale e di sollevare gli spiriti diffondendo ottimismo, si avvia a puntare tutto sulla propaganda e sulla pubblicità, mentre segue la regola della reticenza nel campo dell’informazione.”

È la televisione che dice agli italiani come vivere, cosa pensare e soprattutto cosa comprare per essere considerati giusti. E gli italiani dell’epoca, forse un po’ più alfabetizzati, ma decisamente ancora indietro rispetto alla cultura europea, abboccano a ogni frase detta dai beniamini del momento. Non sanno che dietro le trasmissioni o i giornali ci sono i partiti, non sanno che il loro libero pensiero è dettato da un programma della Rai.

Il consumismo, la libertà ottenuta senza prima comprenderla, crescono una generazione di depressi e frustrati, di persone convinte che stabilità economica e un lavoro che odiano possano essere tutto nella vita. La stessa generazione che sminuisce la terapia psicologica, ha però il merito di aver messo al mondo i figli degli anni ottanta, novanta e del duemila, veri frutti dei loro pensieri. 
 
“Nel nostro tormentato paese, dove della democrazia i cittadini hanno appreso velocemente i diritti senza riuscire a digerire i doveri (e i primi a dare un cattivo esempio sono i funzionari, i dirigenti, i politici, insomma in generale le persone che ricoprono le più alte ed evidenti responsabilità), ognuno coglie l’occasione per scatenare la sua lotta, in una miriade di focolai.” 
 
Insomma, senza nulla togliere ai simpatici boomer ormai verso l’età anziana, una generazione che è sempre stata brava a puntare il dito verso gli altri, e che ha da sempre avuto l’illusione di saperne più. Oggi stiamo cominciando ad amare senza barriere e limiti, oggi stiamo cominciando ad accettare la diversità e l’unità, oggi sappiamo che per stare bene occorre fare ciò che si vuole, e non ciò che qualcuno (genitore, televisione, capo politico estero) ci dice di fare. O almeno, è davvero così?

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