giovedì 13 gennaio 2022

#Spettacolo: Matrix Resurrection e la Cultura Convergente

L'articolo contiene spoiler del film.

Dopo ben ventritré anni, proprio allo scoccare del 2022, è arrivata in sala un sequel di una storia iconica per la cultura pop. Stiamo ovviamente parlando di Matrix Resurrection, quarto capitolo della saga creata nel 1999 dalle sorelle Wachowski.
I fan, nel corso del tempo hanno discusso su tutte le piattaforme del proprio personalissimo gusto riguardo i vari capitoli della saga. Ciò che, però, resta senza alcun dubbio è la capacità attrattiva che nel corso tempo questa saga è stata in grado di suscitare. Non è un caso, infatti, se lo stesso studioso di media e comunicazione Henry Jenkins ha più volte citato questa opera come un esempio di “Cultura Convergente”. Questo termine è noto agli studiosi di comunicazione, ma la pratica che individua è qualcosa che oggi giorno avviene senza che l’utente ci pensi poi più di tanto. Si tratta, infatti, nella creazione di prodotti paralleli ispirati da un dato mondo, in questo caso quello di Matrix ha generato dei videogiochi e un merchandising che ancora oggi è ben conosciuto e premuto dal marketing.
Quello che fa questo capitolo, oltre che aggiungere altro contenuto alla storia che tutti quanti in un modo o nell’altro conosciamo, è cercare di sfruttare proprio la convergenza dei medium per poter cercare di destrutturare quella che era la storia iniziale giocando con i fan, ma raccontando anche altro.

Questo articolo è un’analisi della prima parte del film, parte che si contestualizza e si inserisce proprio all’interno di questo panorama mediatico. Il tutto, con il solo scopo di ridefinire i propri codici, parte dall’idea di un Neo incastrato all’interno della sua stessa creazione: un videogioco. La vita dell’eletto si è trasformata in una fantasia tanto che non riesce più a distinguere il sonno dalla veglia. Eppure, noi fan siamo li pronti a cercare di cogliere la falla in ciò che ci viene mostrato per poter cercare di capire dove - questa volta sola - Lana Wachowski voglia condurci. Matrix non può essere solo un videogioco, non può essere solo figlia di quella cultura che ha suddiviso, smembrato e distrutto il suo prodotto, è ben più.

“Il film The Matrix ci ha introdotti in un mondo dove il confine tra realtà e illusione sfuma costantemente e i corpi umani vengono immagazzinati dalle macchine come fonte d’energia, mentre le menti abitano un mondo di allucinazioni digitali”
- (Jenkins, 2006 p. 82).

La particolarità di questo nuovo capitolo è quanto tutto ciò sia integrato nella narrazione della storia. Lo spettatore è spinto a credere che tutto quello vissuto dal Signor Anderson non sia stato altro che fantasia, ma l’idea che tutto possa esser stato solo frutto di una follia è alquanto svilente. Lana si prende gioco dello spettatore, del critico, di chiunque abbia messo bocca sul proprio film e lo abbia rimescolato connotandolo di significati anche distanti a ciò che aveva pensato lei con sua sorella, in un’epoca nella quale entrambe stavano affrontano il loro processo di transizione per il cambio sesso. E tutto ciò viene evidenziato con ancor maggiore forza dalla scena post-credits che sottolinea quanto ci si voglia prender gioco del marketing e del rimescolamento che la sua opera ha subito.

Fan e critici sono, dunque, portati all’interno della narrazione proprio grazie a quei think tank che continuano a pensare sia al prossimo capitolo di Matrix, sia anche a Catrix citata proprio nella post-credits. Un po’ un gioco nel quale si riesce a ribaltare la frittata, in cui è Lana stessa che dice la sua cercando di trasportare ancora una volta se stessa nelle parole dell’Eletto, rendendo la sua creatura un po’ il suo specchio.

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