venerdì 25 marzo 2022

#Arte: Jean-Michel Basquiat

Noi di 4Muses crediamo sia fondamentale conoscere l’origine delle cose, che sia di una corrente letteraria, di un evento storico, di una parola… lo crediamo così tanto che se non sappiamo come e da dove prende origine una determinata cosa, non riusciamo nemmeno a iniziare un discorso o a informarci sugli eventi in corso.
Insomma, avete presente quella famosa citazione di Oscar Wilde: “A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio”? Ecco, secondo noi tutti dovrebbero ragionare così, il mondo sarebbe un posto migliore per tutti.

Visto che ci rendiamo conto che sembra un attacco assolutamente fuori contesto, ci teniamo a spiegarvi da cosa è scaturito.
L’altro giorno scorrendo su Facebook, abbiamo visto un post; c’era una foto di “Aopkhes” (dipinto nel 1984) di Jean-Michel Basquiat e la domanda era molto semplice: “Voi lo considerate arte?”. Ora, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non è stata tanto la domanda in sé a farci storcere il naso (anche perché sarebbe potuta iniziare una conversazione interessante), quanto le risposte delle persone sotto al post, una tra tutte: “No, è un disegno fine a se stesso”.
Non pretendiamo che tutti trovino tutto bello, ci mancherebbe, ci rendiamo conto che siamo noi a essere delle ottimiste croniche che vedono il bello in ogni singola cosa - e persona - che si trovano davanti, non pretendiamo soprattutto che un appassionato di arte debba amare tutta l’arte - anche perché ovviamente anche noi abbiamo le nostre preferenze -, ma siamo fermamente convinte del fatto che sia incredibilmente sbagliato sputare sentenze che non lasciano spazio a nessun tipo di conversazione. Soprattutto quando si parla di cose così soggettive come l’arte.

Tornando comunque al discorso iniziale, andiamo a vedere a cosa ha dato origine allo stile di questo artista (morto a soli ventisette anni) e perché la sua arte non è affatto fine a se stessa.
“Aopkhes”, Jean-Michel Basquiat, 1984.
Jean-Michel Basquiat nasce a Brooklyn (New York) il 22 Dicembre 1960 da suo padre - nato ad Haiti- e sua madre, nata negli Stati Uniti ma con origini portoricane.
Come accade per quasi tutti gli artisti, la sua passione per l'arte nasce quando lui aveva solo quattro anni; sua madre, infatti, era solita portarlo al Museum of Modern Art (MoMA), al Metropolitan Museum e al Brooklyn Museum. Venne anche molto influenzato dai cartoni animati che vedeva in televisione e dal libro di anatomia Gray’s Anatomy dell’anatomista e chirurgo Henry Gray, libro che gli fu regalato dalla madre quando, nel 1968 dopo essere investito da una macchina e dopo aver subito gravi lesioni interne, - che obbligarono i medici all’asportazione della milza - si trovò ricoverato per un mese all’ospedale King’s County.

“Una notte stavamo fumando erba ed io dissi qualcosa sul fatto che fosse sempre la stessa merda, The Same Old Shit. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! È così che iniziò, come uno scherzo tra amici, e poi crebbe.”

Nonostante fosse considerato un bambino prodigio (a undici anni era in grado di scrivere, leggere e parlare in francese e spagnolo), dopo la separazione dei suoi genitori scappò di casa e fu arrestato per vagabondaggio; l’anno seguente, - nel 1976 - però, tornerà a studiare e verrà ammesso alla City-as-School di Manhattan, una scuola per ragazzi prodigio a cui il metodo di studio ordinario non serve a niente. Qui nel 1977 conoscerà Al Diaz, graffitista di un anno più grande di lui che operava sui muri dello Jacob Riis Park, a Manhattan; con lui inizierà a praticare l’arte dei graffiti (insieme utilizzeranno l’acronimo “SAMO” ovvero “Same Old Shit” per firmarsi) per le strade della Grande Mela e a fare uso di LSD e di altre droghe. La loro amicizia e collaborazione però durò ben poco: nel 1980 i due si separarono e Basquiat non utilizzerà mai più l’acronimo per firmarsi.
Basquiat con Keith Haring e Andy Warhol
Abbandonò la scuola con il pensiero che fosse inutile e inizierà a vendere cartoline da lui decorate. Fu questo pseudo-lavoro apparentemente sciocco e inutile a cambiare per sempre la sua vita: nello stesso anno, entrato per caso in un ristorante di SoHo, incontrò altrettanto per caso il già famosissimo re della
PopArt Andy Warhol (uno dei suoi più grandi idoli), che comprò alcune sue opere. I due iniziarono ben presto una collaborazione e un’amicizia che durò per tutta la sua breve vita; i due insieme dipingeranno più di cento opere.
Nel 1981 partecipa alla mostra New York/New Wave, insieme a Keith Haring, Robert Mapplethorpe, Warhol e Kenny Scharf e il critico d’arte pubblicizzerà con “The Radiant Child” la sua persona e la sua arte sulla sua rivista Artforum; la sua prima vera mostra, però, si terrà nel 1981 nella galleria Emilio Mazzoli di Modena, accolta in modo estremamente negativo da critici e collezionisti.

Come abbiamo già accennato, il declino del bambino radioso avvenne ben presto, precisamente nel 1984, quando il continuo uso di droghe sfociarono in una vera e propria tossicodipendenza da eroina che nessuno riuscì ad arrestare, nemmeno l’amato Andy Wharol, che vide la psiche dell’amico deteriorarsi lentamente. Dopo il tentato assassinio a quest’ultimo e alla sua conseguente morte il 22 Febbraio 1987, avvenuta per colpa di una mal riuscita operazione alla cistifellea, ovviamente, la situazione peggiorò precipitosamente e poco più di un anno dopo, il 12 Agosto 1988, fu trovato dalla sua fidanzata di allora completamente incosciente all’interno del suo appartamento di Manhattan; l’ambulanza lo trasportò al Cabrini Medical Center, dove arrivò senza vita. Oggi è sepolto al cimitero di Green-Wood di Brooklyn.

“Nel futuro tutti saranno famosi in tutto il mondo per quindici minuti”
- Andy Warhol

Mai come nel caso di Jean-Michel (soprannominato “il James Dean dell’arte moderna”) questa trova un fondo di verità.
Ci sono persone che fanno tutto velocemente: imparano velocemente, arrivano al successo velocemente e muoiono altrettanto velocemente… un po’ come se il loro destino si palesi già dai primi anni della loro vita. Anche solo scrivendo questo articolo abbiamo potuto percepire la frettolosità che sembrava contraddistinguere questo ragazzo, che a noi ispira tanta, tanta, tanta tenerezza.
Anche perché sembra quasi che, nonostante sia colui che (insieme all’amico Keith Haring) ha inventato la street art e i graffiti, sia bistrattato e perlopiù ignorato da tutti, compresi i ragazzi che per primi oggi praticano quest’arte. E permetteteci di dire che a noi questo un po’ fa arrabbiare… Diffondere qualcosa (o anche solo apprezzarla) senza conoscere chi ha creato quel qualcosa ci fa arrabbiare davvero e ci intristisce sul serio.
A maggior ragione perché essere un prodigio e abbandonare un futuro splendente solo per avere la possibilità di fare quello che si ama è un atto di incredibile coraggio che crediamo debba essere universalmente riconosciuto. Non per forza apprezzato, ma quantomeno riconosciuto.


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