martedì 15 marzo 2022

#Cinema&SerieTv: Il potere del cane - Recensione

Domenica 27 marzo si terrà l’attesissima notte degli Oscar 2022 e noi di 4Muses abbiamo scelto di recensire un film che crediamo abbia tutte le carte in regola per aggiudicarsi più di una stautetta d’oro, cioè “Il potere del cane”. La pellicola, diretta da Jane Campion, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967 ed è stata già premiata con il Golden Globe come miglior film drammatico. Nel cast troviamo nomi importanti, come Benedict Cumberbatch, Kristen Dunst, Kodi Smit-McPhee e Jesse Plemons. Si tratta di un film western, candidato in ben dodici categorie tra cui miglior film, miglior regista e miglior attore protagonista. Disponibile su Netflix, nell’articolo saranno presenti degli spoiler.

È il 1925 e siamo nel Montana, dove incontriamo i proprietari di un ranch, i fratelli Burbank, diametralmente opposti: da una parte abbiamo Phil (Benedict Cumberbatch), un uomo burbero e violento, dall’altra George (Jesse Plemons), più posato e gentile. Quest’ultimo incontra e sposa Rose (Kristen Dunst), una locandiera vedova, adottando anche suo figlio Peter (Kodi Smit-McPhee), un ragazzino silenzioso e dai modi effemminati. Il ragazzo viene sin da subito preso di mira da Phil, fino a quando la scoperta dell’omosessualità del suo aggressore non viene a galla. Questa scoperta finisce per farli legare. Rose non è per nulla contenta di questo rapporto e, vessata dal cognato, colma questa sua impotenza nell’alcolismo, replicando il comportamento del marito. Phil non ha mai elaborato il lutto dell’uomo che amava, Bronco Henry e cerca di colmare quel vuoto da Peter, all’apparenza più ingenuo e puro. Passa il suo tempo a intrecciare il cuoio e quando Rose vende tutte le pelli che l’uomo aveva messo da parte, perde completamente la testa. In quel periodo tra gli animali si era diffusa l’antrace e Phil fa molta attenzione a non toccare animali malati. Vedendo la distruzione della madre operata da Phil, Peter decide di vendicarsi e regala all’uomo della pelle non lavorata che aveva precedentemente messo da parte. L’uomo ne è così entusiasta che comincia a intrecciare la corda davanti al ragazzo, aprendo il proprio cuore. Il mattino dopo Phil muore e il medico afferma che potrebbe trattarsi di antrace. Nella scena finale vediamo Peter indossare un paio di guanti e passarsi tra le mani la corda che, contaminata, ha ucciso Phil. Il film si chiude su un bacio tra George e Rose, mentre il ragazzo li guarda dalla finestra, con uno sguardo che lascia poco spazio all’immaginazione, spazzando via ogni dubbio sulla sua innocenza.

Benedict impersona un uomo dalla mascolinità tossica, che cela dietro la maschera del burbero e violento una desolazione interiore incredibile. Non ha mai elaborato il lutto di Bronco, dorme nella sua cameretta di quando era un ragazzo e quando il fratello decide di sposarsi ha una sorta di tracollo emotivo. È come un bambino che non è mai riuscito a crescere e nasconde nella violenza la sua fragilità. In realtà tutti i personaggi indossano una maschera che cela una solitudine che viene evidenziata dalle inquadrature. Tutti i personaggi sono soli, incastrati in un ruolo che li opprime e li trascina verso l’abisso. Rose è bloccata nel ruolo di moglie e le angherie di Phil minano il suo autocontrollo. Non si trova a suo agio con l’elite e di certo i colpi psicologici che il cognato le infligge non sono che la goccia che fa traboccare il vaso, spingendola verso l’alcolismo. Come priva di identità propria, Rose sembra replicare la vita del marito, ma saranno le amorevoli attenzioni di George a salvarla dal suicidio.

Il personaggio più enigmatico è l’apparentemente fragile e ingenuo Peter, che è in realtà il più astuto di tutti. Mentre Phil urla, si sfoga e mina la sanità mentale della madre, il ragazzo riesce a penetrare le spesse mura di falsa mascolinità di Peter e a distruggerlo dall’interno in maniera lenta, quasi diabolica. Quale miglior modo di uccidere l’oppressore se non farlo con ciò che teme di più? Phil non si avvicinava neanche per sbaglio agli animali malati, quindi quale miglior vendetta se non sfruttare l’aria da finto buono e ucciderlo con l’antrace? Anche la scena finale, con un primo piano sullo sguardo di Peter fa intuire quanto tutti, spettatori compresi, si siano sbagliati sul suo conto. Certo, le avvisaglie c’erano già da metà film, ma non si pensava potesse arrivare a tanto. Avendo trascorso tanti anni solamente con la madre, il giovane sembra pronto a uccidere chiunque possa minare in quel rapporto.

Come dicevamo, la solitudine dei personaggi viene anche rappresentata negli immensi spazi aperti e montuosi del Montana. Essendo un film “tardo western”, ha perso ogni connotato di calore, lasciando spazio al freddo dei sentieri ghiaiosi di montagna. La natura, silenziosa e immutabile, non bada all’essere umano, in un ciclo di vita e morte che non risparmia nessuno. Le montagne fanno da sfondo a personaggi che sono incapaci di trovare scampo dalla loro vita vuota.

Ma a cosa fa riferimento, allora, il titolo dell’opera? Nella scena finale vediamo Peter intento a leggere il salmo 22:20, “Libera l’anima mia dalla spada e il mio amore dal potere del cane.

Il cane non è altro che una metafora per tutto ciò che i personaggi celano sotto la superfice, ciò che nascondono dietro la maschera. Tutte le pulsioni che sopprimono arrivano anche a essere mortali, traducendo un’intensa lotta interiore,. Phil, che aveva celato la propria natura, è morto proprio ucciso dalla stessa.

E voi, avete visto il film? Che ne pensate?

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