sabato 5 marzo 2022

#Musica: La collina dei ciliegi

Oggi ci ritroviamo ad analizzare una canzone di Lucio Battisti, anche se sinceramente in questo caso non c’è molto da scavare nell’occulto, visto che le parole sono molto chiare. Nonostante questa limpidezza, comunque, Battisti e Mogol sono stati accusati di aver inserito nella canzone: “La collina dei ciliegi” riferimenti al fascismo, solamente per il verso: “Planando sopra boschi di braccia tese”. Ora, visto che quando la citiamo come nostra canzone preferita le persone ci guardano perplesse, a quanto pare un articolo sul significato della canzone non va escluso.

“La collina dei ciliegi” esce come singolo nel settembre del 1973, dopo essere stata inserita nell’album “Il nostro caro angelo”, uscito nello stesso periodo. Negli anni successivi, Mogol stesso ha ammesso che l’album conteneva brani scritti per andare contro la Chiesa, o meglio, verso il senso del peccato. 

L’uomo condannato da questa Chiesa, visto come un peccatore, oscura sempre di più: è un discorso contro la Chiesa fatto con mezzo milione di copie, è un discorso sociale, assolutamente.

-Mogol

Abbiamo già analizzato “La luce dell’est”, (vi consigliamo di recuperarlo prima di proseguire con la lettura) brano contenuto nell’album: “Il mio canto libero”, uscito nel novembre 1972. Ora, se avete presente la copertina, potete capire meglio il riferimento alle braccia tese. Questo fa presupporre, quindi, che “La collina dei ciliegi”, si ricolleghi alle tracce uscite l’anno prima. 

“E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante/cancella col coraggio quella supplica dagli occhi./Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante/e quasi sempre dietro la collina è il sole”

Se siete giunti fino a qui con la lettura, sappiate che questa canzone ci ha aiutate tantissimo a uscire dalla nostra comfort zone. Ovviamente la conosciamo da quando siamo nate, ma un giorno, mentre la stavamo ascoltando durante una nostra sessione di meditazione - sì, a volte meditiamo insieme -, è come se ci si fosse accesa una lampadina, come se avessimo trovato la chiave di un qualcosa. “Cancella col coraggio”. Ora, sappiamo benissimo tra con e col non c’è molta differenza, ma a livello di suoni, di energia, sì ed è molta. “Con” fa pensare a qualcosa che ti accompagna, come quando esci con qualcuno, che per quanto possa essere importante nella tua vita, è pur sempre una persona esterna a te. Col, invece, dà un senso di unione. “Pasta col pesto”, il pesto non è distaccato dalla pasta, è nell’insieme. “Col coraggio”, quindi, ci ha dato una svegliata non dà poco, perché ci ha fatto capire che il coraggio fa già parte di noi, non dobbiamo cercarlo da qualche altra parte. È grazie a questa consapevolezza se oggi non aspettiamo più il momento in cui siamo pronte per agire, ma lo facciamo all’istante.

In questo verso c’è tutto il senso di vittimismo da cui ci stiamo piano piano allontanando anche noi. Battisti si rivolge a qualcuno, ma quel qualcuno siamo tutti noi. Nella canzone è una donna, ma vale anche per gli uomini, perché fa riferimento alla nostra natura, alla nostra anima: se vogliamo vivere la vita che vogliamo, non abbiamo più spazio per il: “per favore”, per guardare e giudicare gli altri. Non esistono preghiere o suppliche, bisogna rimboccarsi le maniche e fare ciò che si deve. Perché, appunto, procedere lentamente non è sempre sinonimo di saggezza, ma di paura, di insicurezza, “prudenza più stagnante”.

Così come nella canzone “La luce dell’est”, anche qui è presente un’immagine legata alla Divina Commedia: “E quasi sempre dietro la collina è il sole”. Proprio come il sole si nasconde dietro al cielo più nuvoloso. Nel momento in cui procediamo verso la collina, salendo, faticando, troviamo quello che è il nostro sole, la nostra luce più pura. 

“Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente?/Ma perché tu non vuoi spaziare con me,/volando intorno alla Tradizione/come un colombo intorno a un pallone/frenato e con un colpo di becco ben aggiustato, forarlo e lui giù… giù… giù…”

Se siete cattolici lo sapete bene: Gesù stesso andava contro quella che era la Tradizione dell’epoca. A noi è rimasta impressa la scena della donna sanguinante che va da Gesù per farsi guarire. (Mc 5,21-43) Ai tempi a una donna era severamente vietato toccare un uomo quando aveva le mestruazioni, ma lei è disperata, perché quando sanguina, non riesce a smetterla più. Aveva contattato ogni medico, così le era rimasta solo la fede in un uomo che non aveva mai visto prima. Quando lei tocca la veste di Gesù, il sangue si arresta improvvisamente, e nonostante il tocco proibito, Lui si avvicina alla donna per benedirla. Se non siete credenti, poco importa, perché il senso è lo stesso: per trovare la propria anima bisogna andare contro tutte quelle che sono le nostre false credenze, senza mai negarle.

Volando intorno alla Tradizione” vuol dire proprio questo: mettersi da un punto di vista più alto e osservare tutto ciò che ci è stato insegnato da quando siamo nati. E per capire meglio il senso, ecco l’immagine del colombo che vola attorno a un pallone e lo fora. Il foro è un buco piccolo, che fa scendere lentamente il pallone verso terra. Ciò significa che non bisogna avere fretta di lasciare andare ciò a cui siamo ancorati, ma bisogna avere la pazienza di prendersi il proprio tempo, perché tanto è destino del pallone andare sempre più lontano da noi. 

“E noi ancora, ancor più su/planando sopra boschi di braccia tese/un sorriso che non ha/né più un volto, né più un’età./E respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini/ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini/e più in alto e più in là/(se chiudi gli occhi un istante)/ora figli dell’immensità”

Ecco il verso che ha fatto tanto scalpore. Ora, abbiamo già spiegato come la intendevano Mogol-Battisti, e cioè un riferimento alla copertina dell’album precedente, che fa pensare che i due siano in un qualche modo collegati. Ma a noi piace anche pensare che i boschi di braccia tese siano un insieme di alberi spogli, con i rami che si aprono con fiducia verso il cielo in attesa dell’arrivo della primavera. Come quando viviamo i nostri momenti di buio, ma rimaniamo ferme in essi, perché sappiamo benissimo che prima o poi arriverà la luce del sole a scaldarci. “Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia”, come si dice nel Salmo 126.

Non sappiamo se vi è mai capitato di meditare, o di vedere qualcuno intento a farlo. Semmai vi consigliamo di vedere le immagini del Buddha. Quando si entra più in profondità nella meditazione, il viso si distende e la bocca si allarga in un sorriso. Non è, però, una smorfia di piacere, non c’è un vero motivo per cui si sorride, ecco perché quel sorriso non ha più un volto, né più un’età. Ed è in quel momento che ci sentiamo come se non esistesse più il nostro corpo, come se non avessimo limiti e ci sentiamo sul serio parte dell’intero Universo, in continua espansione.

Ci allontaniamo, quindi, dal corpo, dalla nostra materia, per avvicinarci a chi realmente siamo, all’Uno, e diventiamo figli dell’Immensità, del tutto, di Dio. Ora, se state pensando: “ma siamo tutti figli di Dio”, non proprio. Siamo tutte creature di Dio, ma per essere figli è un altro discorso, che affronteremo prima o poi. 

“Se segui la mia mente, se segui la mia mente/abbandoni facilmente le antiche gelosie/ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti?/Le anime non hanno sesso né sono mie.”

Innanzitutto soffermiamoci sulla potenza di questi versi, mandati al mondo nel 1973: “Le anime non hanno sesso”. Quanto vorremmo che si comprendesse, finalmente. Comunque, quali sono queste antiche gelosie? Tutto ciò che è legato alla possessione. Se siamo gelosi di qualcuno, è perché diamo a quel qualcuno il peso (perché vi assicuriamo che è un peso) di essere per noi come un oggetto, un qualcosa che ci appartiene. Beh, le anime non appartengono al mondo, figuriamoci alle altre persone.

La sensazione di gelosia, di possessione, coprono in realtà la loro vera fonte: la paura. È la paura che ci frena dall’amare senza limiti, perché siamo convinti di non essere abbastanza, di non essere completi, di avere bisogno di qualcun altro per trovare la pace.

Niente di più sbagliato. Noi siamo. E mettiamo il punto dopo il verbo, semplicemente perché noi siamo già completi, così come siamo. Possiamo migliorare, evolvere, ma rimaniamo comunque completi. Abbiamo certo bisogno degli altri per dare e ricevere insegnamenti e amore, ma nessuno mai ci darà qualcosa che già abbiamo. E pensare che ci serva qualcuno, è solo illusione offerta dalla paura, che guarda caso, ci appartiene. Discorso complicato? Seguiteci in radio, perché ne parliamo spesso. 

“No, non temere tu non sarai preda dei venti./Ma perché non mi dai la tua mano, perché?/Potremmo correre sulla collina/e fra i ciliegi veder la mattina/(e il giorno)/e dando un calcio a un sasso/residuo d’inferno/farlo rotolar giù… giù… giù… ”

Quando parliamo di queste cose, il pensiero comune di chi ci sta davanti è per lo più uno: “Eh, ma facendo così il mondo diventerebbe un caos.” No, assolutamente. Meditare non vuol dire farsi guidare dagli istinti più impulsivi della nostre psiche, al contrario. Vi abbiamo già parlato dei benefici della meditazione, e tra questi c’è proprio quello di prendere le proprie scelte con maggiore consapevolezza, divenire più ponderati e calmi. 

Non si è mai, quindi, preda dei venti. Al contrario: è rimanere nella zona di sicurezza che ci fa vivere una vita in balia del caso. Infatti, alla fine, le parole ci incoraggiano a prendere per mano la nostra anima e andare verso la collina per vedere la mattina, il giorno, il sole. La collina, tra l’altro, è piena di ciliegi, alberi che stanno in fiore in primavera e che simboleggiano proprio il tornare alla vita. 

E se ascoltando più la nostra anima, noi iniziassimo a vivere davvero? Non sarebbe bello provarci?

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