lunedì 28 marzo 2022

#PennyLane: The End

⚠️ VM.18

Questa è un'opera di fantasia. La storia che segue è frutto dell'immaginazione dell'autore e non è da considerarsi reale. È una fan fiction ispirata al testo della canzone "Penny Lane" dei Beatles, i quali detengono i diritti sul brano.

Ascoltando il brano e traducendolo quando avevo tredici anni, mi è venuta in mente questa storia, che è quindi soltanto una mia personale interpretazione della quale detengo ogni diritto.

Are you going to be in my dreams tonight?

Dei suoi trip da LSD, Agatha ricorda ormai molto poco, giusto che le scene si succedevano ogni volta che cambiavano i pensieri. Era stato proprio George una volta a suggerirle di iniziare a meditare subito dopo aver preso la pasticca, in modo tale che potesse iniziare il suo viaggio interiore senza problemi creati dalla mente. Ascoltò quel consiglio, e in effetti si rivelò estremamente saggio, ebbe la prima esperienza tranquilla, senza sensi che si confondevano tra loro e senza preoccupazioni che prepotenti la rimproveravano.        
Mai come in quegli ultimi mesi, però, è grata per il consiglio di George. La meditazione l’ha aiutata tantissimo ad accettare il processo della morte lenta del suo corpo. Il più delle volte medita la mattina, quando è da sola e quando è più incline ad andare nel passato. Non che abbia rimpianti, ma vuole godersi tutto della vita, anche il momento della sua morte. Paul le ha detto che una delle fortune di George è stata proprio questa, privilegio che invece non ha potuto avere John.                 
John.  
Chissà se ci sarà lui ad attenderla. Di nuovo, torna a concentrarsi sulla luce bianca immaginata al centro della testa. Non deve vagare neanche nel futuro, per quanto assurdo possa sembrare, pensare all’aldilà per lei è davvero il futuro immediato.
Apre gli occhi, oggi non si sente in vena neanche di meditare. Guarda fuori dalla finestra, il cielo è bianco, probabilmente nevicherà. Non sa che giorno è, ma sa che è quasi Natale, perché Halloween è passato da un bel po’. Lucrezia, l’infermiera di origine italiana del giorno, le aveva raccontato della sua festa in costume, e di come si fosse sentita un pesce fuori dall’acqua, perché in Italia la gente non è così fredda come a Londra, e come darle torto?
Guarda l’orologio, le 11:45, Ora Lucrezia è in cucina per preparare un pranzo che Agatha non finirà. Quanto le dispiace, cucina benissimo, eppure ormai proprio non riesce a mandare giù niente. Le infermiere lo sanno, e non cercano più di incoraggiarla. Solitamente le accarezzano i capelli e le dicono: “Almeno avrai più fame domani”.            
Alle 12:00 esatte, Lucrezia entra in stanza con il vassoio. Cammina lentamente, per non far cadere la zuppa dentro il piatto. Posa il tutto sul tavolino vicino al letto e aiuta Agatha a tirarsi su. La avvicina al piatto, e come sempre dopo due cucchiai, Agatha getta la spugna.         
«Non preoccuparti.» le fa l’italiana, e poi le dà un bacio sulla fronte. Agatha, da buona inglese, non è mai stata amante del contatto fisico, ma questa volta le fa un grande bene. «Ora riposati.»
L’infermiera le fa i soliti passaggi: controlla che sia asciutta e le fa dei massaggi per evitare le piaghe da decubito. Mezz’oretta dopo, Agatha è di nuovo sola, chiude gli occhi e si addormenta.

Agatha chiude la porta della stanza di Stuart.        
«Vi ho cercati ovunque!»     
John si volta, scuro in volto, almeno così le pare, visto che l’unica luce proviene dai lampioni fuori. Agatha ha timore di chiedere cosa sia successo, anche se lo può immaginare. Sono mesi che la loro amicizia è diventata un ostacolo, come se un enorme masso si fosse piantato lì in mezzo e non volesse saperne di spostarsi.     
«Dimmi cosa provi per me, e cosa provi per lui.»   
Agatha guarda in direzione di Paul, che sembra essere rassegnato. Poi torna a guardare John. Ringrazia se stessa per aver bevuto così tanta birra a quella festa. Non arriverà mai il momento in cui sarà pronta per ammetterlo, tanto vale farlo adesso.           
«Sono innamorata. Di entrambi.» un momento di pausa, dove i tre respiri si fanno pesanti, ma si uniscono in sincrono. «E non mi potete chiedere di scegliere, perché tanto non lo farò.» “Perché tanto so che anche per voi è così.” Avrebbe voluto dire, ma sarebbe un azzardo che non ha il coraggio di compiere.          
«Credo sia meglio uscire da qui, godiamoci la festa, oppure no, domani ne riparleremo con più calma…» Paul non può reagire come vorrebbe, la paura è tanta. Vorrebbe stringere Agatha tra le braccia, dirle che è ricambiata e che sa cosa prova, perché anche lui non può scegliere.               
 

«Aspetta, non è il momento.»           
Sogni e ricordi si mescolano, ma quella voce interrompe qualsiasi cosa fosse stata. Eppure Agatha è così stanca, ancora non vuole svegliarsi.

«No. Ne parleremo qui, ora.»          
«Ha ragione Paul, meglio se ne parliamo domani, anzi, meglio se non ne parliamo mai più.»   
«Cosa vuoi dire?»     
«Voglio dire, Paul, che è inutile parlare di qualcosa che non volete affrontare voi per primi. Io sono stata sincera, e voi? Cosa provate per me, e cosa provate tra di voi?»           
«Non è la stessa cosa…» John guarda Agatha con sicurezza.       
«Ah, no? Perché non vi state tormentando da mesi su un amore impossibile? Su un amore che avreste voglia di gridare al mondo, non perché vi freghi qualcosa di sbandierarlo, ma perché sperate che il mondo vi ignori?» 
Quel silenzio è solo l’ammissione muta dei due alle parole della ragazza.
«Appunto. Non mi prendo il ruolo della stronza, della donna puttana che non vuole scegliere tra due persone, così che possiate scaricarvi la coscienza, e possiate tornare alla vostra musica. Per cosa, poi? Fare finta di essere solo amici? Sapete cosa? Io posso abbandonare questa stanza, scendere giù e cominciare a ignorarvi. Vi dimenticherete di me tra due, tre anni massimo. Ma voi? Voi starete sempre insieme. Voi non potrete ignorarvi, perché siete qui per fare musica, insieme, voi…»       
Le parole di Agatha sono veramente dure, ma John ha notato solo una cosa: la sua sicurezza nel loro futuro così incerto. Lei non ha mai avuto dubbi sul gruppo musicale, sul vivere di suonando, e soprattutto sulla collaborazione Lennon-McCartney. È per questa sicurezza che lei gli ha dato, se si volta verso Paul e comincia a baciarlo.   

«Devi aspettarlo.»     
“Perché? Tanto non verrà.” Risponde Agatha alla voce.

I tre sono in silenzio, muti. Sanno che c’è bisogno di parlare, ma non sanno come intraprendere il discorso. Non sono andati a scuola, così casa di Paul è totalmente a loro disposizione. Accade fin troppo spesso, in realtà, ma oggi la mancanza di note suonate e cantate, crea un’atmosfera tesa, quasi cupa.      
Forse non è stata una buona idea incontrarsi, ma abitando nella stessa città e avendo una band insieme, sarebbe stato inevitabile.
«Quello che è successo sabato sera, e poi ieri…» Agatha si blocca. Si morde le labbra, ancora gonfie e leggermente doloranti. Le manca la pelle su quasi tutto il labbro inferiore per i morsi che si è fatta dare da John e Paul.     
«Vogliamo dimenticarlo?» chiede John.     
«Tu vuoi farlo?» Incalza Paul.         
I due si guardano senza parlare, lo sguardo fisso, danno l’idea di due gatti che si sfidano per il territorio. Solo che non esiste alcun territorio da conquistare.  

Love you/Love you/Love you/Love you…

«Ti amo.»      
Agatha apre lentamente gli occhi, la stanza è ancora offuscata dalla vista che tarda nel mettere a fuoco oggetti e persone. Sente una mano stringere la sua, poi nota la figura accanto al letto.         
«Paul?»          
Lui annuisce, passandole gli occhiali da vista.        
«Quando ti ho sentita al telefono, tre giorni fa, mi sei sembrata distante. Poi hai saltato una chiamata, il giorno dopo, e ho avuto paura, sai, come con John… non ti perdo improvvisamente, chiaro? Sono qui, e resto qui. A ripeterti che ti ho amata dal primo giorno che ti ho vista e non ho mai smesso…»   Agatha sorride, stringe più che può la mano di Paul. «Ti amo anch’io.»

Pochi secondi di silenzio. In quei secondi di silenzio, Agatha ripercorre la sua prima volta con John e Paul, quel sabato appena passato.           
Non credeva che John avesse sul serio il coraggio di baciare Paul, né che Paul ricambiasse senza alcuna esitazione. Era rimasta a guardarli, come estasiata, come quando li vede suonare. Quando loro si sono staccati, lei è come tornata in sé.   
John ha una paura fottuta, da adesso cambia ogni cosa nella sua vita. È così anche per Paul, rimasto fermo immobile, chiedendosi cosa gli fosse passato per il cervello per ricambiare quel gesto.          
«Va tutto bene, ragazzi.» Agatha spinge la scrivania verso la porta, in modo da bloccarla per eventuali disturbatori. Non vuole interruzioni, sa quanto sono scossi, ed effettivamente è un po’ colpa sua.    
Quando ha finito, si siede sulla scrivania, cercando di mettere in ordine le idee. Cosa può dire? Cosa può fare? Ma in realtà è frastornata, vorrebbe rivedere un altro bacio, vorrebbe partecipare a un altro bacio.        
Paul si volta verso Agatha, la vede più bella, se fosse possibile. Quando si avvicina a lei, Agatha sorride, non opponendo alcuna resistenza alla camicetta che viene sbottonata. Paul le scopre il petto, baciandole il seno destro, mentre il sinistro è tutto per John.       
Non è la prima volta di nessuno dei tre, eppure le sensazioni sono del tutto sconosciute, perché esplorano sfumature dell’amore occulte.    
 

Sono pochi i momenti in cui si riprende, ma in tutti, Paul è sempre presente. A volte è sdraiato accanto a lei, altre è seduto sulla poltrona, perché ha fatto avvicinare i figli, o i nipoti di Agatha. Lei non ha più la sensazione del tempo che scorre, forse per questa sera neanche le porteranno la cena, probabilmente tutti sanno che per lei non ci sarà più una nuova alba.         

John le mette la mano sotto la gonna, poi le sposta le mutande e le infila due dita dentro la vagina bagnata. Agatha si lascia andare, avanza di poco e manda la schiena indietro, appoggiandola alla porta. La testa sbatte contro il legno, ma il cervello non deve aver mandato nessun impulso di dolore al corpo, troppo preso dall’eccitazione del momento.
Paul la bacia sul collo, per poi spostarsi dietro John. Gli alza la maglietta, gli bacia la schiena. John rallenta i movimenti delle dita, per godersi, invece, quelle sensazioni del tutto nuove. Agatha apre gli occhi, non vuole perdersi nulla. Dalla sua posizione può solo vedere il volto di John, gli occhi che fanno fatica a chiudersi e far sì che lui si lasci andare del tutto. Così lo aiuta, si avvicina alle sue labbra, le bacia, le morde, cerca la sua lingua. Gli sbottona i pantaloni, per toccare il suo pene, ma trova già la mano di Paul.  

«Hey Gathie, ti stavo aspettando!»  
Agatha si guarda prima le sue mani, hanno la pelle liscia e le unghie tutte mangiate, come quando aveva quindici anni. Alza lo sguardo verso quella voce che le stava dicendo di aspettare ancora un po’, e vede John, proprio come lo aveva conosciuto. Gli va incontro, e lo abbraccia. Può sentire la sua pelle, il suo corpo, il suo profumo, tutto il suo essere.  
«È bello rivederti.» Appoggia la testa sul suo petto.
«Per me è bello riabbracciarti.»
Risponde John.

And in the end, the love you take/is equal to the love you make.

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