giovedì 31 marzo 2022

#Pensieri: A Day in The Life

Più spesso di quel che si pensa, le idee a parer mio più interessanti nascono così, d'improvviso.
Eravamo a casa di Aida e ci stavamo preparando per il suo compleanno e a un certo punto Frè ha tirato fuori un discorso iniziato un paio di settimane prima: quello dell'interpretazione di "A Day in The Life" (brano inserito nell'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del 1967), diversa per ognuna di noi.

Già il fatto che questo sia un articolo scritto in prima persona e inserito nella categoria "Pensieri" dovrebbe far capire la sua soggettività, ma per non lasciare spazio all'immaginazione lo diremo molto chiaramente: sebbene in questo articolo parleremo anche di fatti, comunque in linea di massima rimane sempre un articolo incredibilmente personale, così come lo sono alcune traduzioni (come sapete se un minimo conoscete l'inglese, alcune frasi e parole possono essere tradotte in diversi modi, e questa cosa si accentua se nel testo sono stati inseriti modi di dire o espressioni gergali) quel che la canzone trasmette a me non è di certo quel che trasmette alle altre tre muse.
Non avendo mai provato alcun tipo di droga allucinogena non so - ovviamente - se è così che ci si sente, ma quando l'ho ascoltata anni fa per la prima volta l'istinto mi ha fatto dire immediatamente: "Ma ci hai fatto caso che questa canzone è un good trip che diventa improvvisamente un bad trip?"
Soprattutto guardando il video e ascoltando la musica, la netta sensazione è quella: dal minuto 1:45 per circa trenta secondi (fino al minuto 2:16), nella canzone iniziano una serie di dissonanze - come se si volesse far sovraccaricare di emozioni e mandare in stato confusionario l'ascoltatore - e poi, improvvisamente, si ferma e ricomincia in tutta tranquillità (o almeno, con una tranquillità apparente, ma poi ci ritornerò).

"I read the news today oh boy
about a lucky man who made the grade
and though the news was rather sad
well, I just had to laugh
I saw the photograph.
He blew his mind out in a car
he didn’t notice that the lights had changed
a crowd of people stood and stared
they’d seen his face before
nobody was really sure
if he was from the House of Lords
(Ho letto la notizia oggi, oh cielo
di un uomo fortunato che è arrivato a destinazione
e anche se la notizia era piuttosto triste
beh, ho dovuto ridere
ho visto la fotografia.
Ha fatto saltare la sua mente fuori dalla macchina
non aveva notato che le luci erano cambiate
una folla di persone si è fermata a fissare
avevano già visto la sua faccia
nessuno era sicuro
se era della Camera dei Lord)"

A proposito di trip e di LSD, il protagonista di questa prima strofa è Tara Browne, figlio del Barone Dominick Browne, membro della Camera dei Lord e caro amico di Paul McCartney; pare che proprio lui fece avvicinare i quattro alla droga.
Il 17 Dicembre 1966, il ragazzo di appena ventuno anni, dopo essersi messo alla guida ubriaco e sotto l'influsso di sostanze stupefacenti, morì fratturandosi il cranio in un incidente stradale, dopo aver sterzato per provare ad evitare una Volkswagen ma finendo invece contro un furgone in sosta.

Il verso "about a lucky man who made the grade" è indubbiamente uno dei versi più ambigui da tradurre, e non in questa canzone ma in generale; può essere tradotto con "di un uomo fortunato che ha
fatto il salto di qualità
", o con "di un uomo fortunato che ha raggiunto le aspettative [richieste]" o, come ho fatto io, con "di un uomo fortunato che è arrivato a destinazione"... in ogni caso però per noi il sottotesto è sempre e solo uno: l'uomo fortunato è arrivato a destinazione morendo.
Magari "è arrivato a destinazione" e "ha fatto il salto di qualità" sono anche comprensibili (e se il secondo non lo è potete leggere l'articolo di Frè), ma "raggiungere le aspettative [richieste]" come dovrebbe essere collegato alla morte? Beh, per me è scontato: che una persona abbia ottant'anni o ventuno, che abbia apparentemente vissuto al massimo o che sembri che la sua vita sia stata spezzata prematuramente, in realtà noi non rimaniamo su questa terra un secondo di più o di meno del necessario, sempre. Ne ho avuto la conferma provandolo sulla mia pelle.

"Silviè, a te te puzza de vive" (che tradotto in italiano dal romano sarebbe: "Silvia, a te non va proprio di vivere"), è questo quello che mi è sempre stato detto da amici, familiari e a volte da professori; a me puzza talmente tanto de vive (o puzzava, devo ancora capirlo) che con il tempo ho idolatrato la morte fino all'esasperazione, l'ho ricercata numerose volte anche nelle piccole cose, ormai le volte che ho tentato il suicidio non si contano nemmeno più su un palmo di una mano, ma di due... a un certo punto una malattia avuta nel 2013, che mi ha costretto in coma per un mese, mi stava anche per accontentare, eppure non sono mai riuscita ad avvicinarmi veramente alla morte, sono sempre stata salvata prima, l'ho sempre e solo sfiorata con un dito.
Questo, unito a tutte le persone che ho guardato mentre mi morivano davanti, mi ha fatto arrivare alla conclusione bruciante che, a costo di diventare anziana come Matusalemme, una persona non morirà mai se non ha raggiunto le aspettative richieste per morire. Ergo, se non ha imparato una determinata cosa, detto una determinata frase, fatto una determinata azione.
La cosa divertente? Cosa sia quella determinata cosa a noi non è dato saperlo, e per quanto ne sappiamo potrebbe essere anche dire a qualcuno "ti voglio bene" o regalare un fiore a uno sconosciuto.

"Ha fatto saltare la sua mente (o spirito) fuori dalla macchina" è una traduzione fatta decisamente a braccio ma non ha molta importanza, perché ogni volta che ascoltiamo John pronunciare quella frase e nell'immagine della mente (o spirito) che esce fuori dalla macchina percepiamo solo un messaggio: quello che nella morte c'è un senso di libertà unico e irripetibile, forse perché è l'unica cosa della vita che non ha vincolo alcuno.
E la folla che si ferma e fissa la scena invece, non siamo altro che noi, quelli che rimaniamo indietro, in lutto. Alcuni di noi davanti a una morte sono più sofferenti mentre altri lo sono di meno, altri invece non lo sono proprio, ma tutti comunque non possono fare altro che fermarsi a guardare.


Come ho già accennato all'inizio dell'articolo, già dopo la prima strofa per me arriva il bello; la musica e il video sono le cose che più di tutto il resto della canzone mi hanno sempre affascinato... il crescendo dell'orchestra l'ho sempre visto come un momento di transizione, la canzone da quel momento in poi prende un tono completamente diverso e nella mia testa diventa la rappresentazione di un bad trip.
Questa mia interpretazione si è rafforzata quando un pomeriggio, Nicole (una mia amica che di Beatles ne sa ben poco e di conseguenza è anche meno condizionata da quello che sono i fatti e le spiegazioni razionali) mi ha posto una domanda dopo aver ascoltato questa canzone (rigorosamente tenendo gli occhi chiusi, perché è così che rende veramente): "Silvia, hai mai avuto un incidente grave o una esperienza in cui hai pensato di morire?".
All'inizio non ho compreso bene la sua domanda, ma dopo aver ascoltato un suo aneddoto mi è tornato in mente come un flash, e mi sono ricordata del mio coma, precisamente della sensazione che ho avuto per tutto il mese in cui, assuefatta dai medicinali, mi sono trovata dormiente e in quello stato di bad trip continuo che ero convinta di non aver mai vissuto.

Non parlo mai del mio coma, tirare fuori certe immagini che il mio cervello ha prodotto in quel mese è troppo doloroso e non è possibile razionalizzarle, però per una decente riuscita di questo articolo voglio provare a parlare dell'esperienza più soft vissuta, quella del mio funerale.
Sì, avete letto bene.

Le dissonanze presenti nella canzone (che mi fanno piangere non appena le ascolto) sono le stesse identiche che hanno preceduto il mio entrare in coma, e il primo ricordo falsato che ho del mio coma è quello del mio funerale.
Erano tutti lì: i miei amici di Anzio, le mie sorelle, mio padre, la mia defunta madre, i miei cugini...
erano tutti lì e tutti piangevano sulla mia bara.
Anche io ero lì e parlavo con la gente, la rassicuravo, ma il senso di impotenza mi sovrastava: per la prima volta nella vita quella morta ero io e, per quando dicessi a tutti che andava tutto bene, non riuscivo a far stare meglio nessuno. È forse lo stesso senso di impotenza che provano veramente le anime dei morti quando ci vedono soffrire per loro?

Ragionandoci e scavando in quei ricordi da cui cerco di fuggire, poi, mi sono ricordata che questo suono mi ha accompagnato per tutto il mese diventando così un rumore bianco (forse era per questo che lo avevo rimosso), e diventava sempre più forte nei momenti che precedevano un evento particolarmente negativo. Alcuni elementi (per voi completamente random) che ancora oggi a distanza di quasi dieci anni associo a questo suono sono: "Estate" di Jovanotti, La Carica dei 101, Radio Subasio, Alison DiLaurentis di Pretty Little Liars, i Queen.

Allo stesso modo, anche il video musicale dopo l'orchestra prende una piega completamente diversa: certo, rimane sempre confusionario, ma se nella prima metà i protagonisti principali del video (oltre ai Fab Four compaiono spesso anche Mick Jagger, Keith Richards, Mike Nesmith, Pattie Boyd e Marianne Faithful) vengono ripresi spesso e volentieri con il sorriso sul volto e divertiti, nella seconda metà sono sempre più spesso seri, corrucciati, talvolta innervositi.

"Woke up, fell out of bed
dragged a comb across my head
found my way downstairs and drank a cup
and looking up, I noticed I was late
found my coat and grabbed my hat
made the bus in seconds flat
found my way upstairs and had a smoke
somebody spoke and I went into a dream
(Mi sono svegliato e mi sono buttato giù dal letto
mi sono trascinato un pettine tra i capelli
sono riuscito a scendere al piano di sotto e mi sono bevuto una tazza [di thè]
e alzando lo sguardo mi sono accorto che ero in ritardo
ho trovato il cappotto, e ho afferrato il mio cappello
ho preso l’autobus giusto in tempo
sono salito sopra e ho fumato
qualcuno ha parlato e sono entrato in un sogno)"

So bene che razionalmente questa seconda strofa è semplicemente l'inizio di una canzone totalmente diversa - e scritta a parte - che i Beatles non avevano idea di come continuare, ma non mi interessa: la voce allegra di Paul che canta questa strofa a volte mi fa quasi venire il voltastomaco.
Amo alla follia la sua voce (esattamente come amo la voce di John, George e Ringo), ma proprio perché vi ho raccontato quello che vi ho raccontato qualche riga fa, la sua allegria mi urta il sistema nervoso, la percepisco come forzata ed estremamente finta.
È inquietante, ed è esattamente come mi ricordo i momenti di apparente tranquillità all'interno di quel mondo nella mia mente in cui mi sono trovata intrappolata per un mese intero: la saturazione dei colori degli oggetti che mi circondavano era al massimo, quelli che incontravo avevano un sorriso sornione sul volto portato all'esasperazione, le sopracciglia alzate e gli occhi sgranati, tutti erano fin troppo gentili.
Una cosa del genere non può essere rassicurante per nessuno.



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