martedì 3 maggio 2022

#Pensieri: For No One

In questo articolo non ci saranno teorie McLennon e non mi divertirò a leggere tra le righe di niente, non spiegherò nemmeno troppo della canzone in sé per sé e – anche se so di dirlo spesso, ma sinceramente non mi importa – questo articolo ha tutti i presupposti di essere uno dei più personali pubblicati su questo blog.
Questa volta, però, non tanto per le parole che seguiranno, quanto per tutta l’emotività che sto già iniziando a inserire in ogni singola parola scritta.
For No One” è – come avrete probabilmente capito dall’etichetta in cui è inserita – una canzone dei Beatles inserita nell’album “Revolver” del 1966.
Sebbene sia stata scritta esclusivamente da Paul McCartney, la canzone è – nemmeno a dirlo – stata accreditata al duo Lennon-McCartney. Considerata a livello poetico uno dei lavori più maturi di McCartney, “For No One” fu scritta a seguito di un violento litigio con la sua fidanzata dell’epoca Jane Asher. I due si sarebbero lasciati nel 1968, ma – sebbene nessuno possa dirlo con certezza – in realtà non ci vuole un genio per capire che le parole scritte da Paul lasciano intendere una crisi non indifferente iniziata già nel ’66.
È una canzone triste, amara e sincera, seconda forse solo a “Girl” e “You Won’t See Me” (inserite nell’album “Rubber Soul”) e a “She Said She Said” (anch’essa inserita in “Revolver”); sul piano musicale, invece, è indistinguibile lo stile acustico tipico del frontman dei Beatles.


L’idea per questo articolo nasce da questo video estratto dal film del 1984 “Give My Regards to Broad Street”, di cui Macca è il protagonista.
Vi giuro che andava tutto bene, ma se di solito faccio fatica ad ascoltare “For No One” – perché mi tocca nel personale – e molto spesso mi ritrovo a saltare “Eleanor Rigby” – perché mi distrugge ogni volta –, quando vengono cantate una dietro l’altra da un Paul appena quarantenne e a distanza di esattamente sedici anni dalle prime registrazioni delle due (il primo brano fu registrato per la prima volta il 9 Maggio 1966 mentre il secondo il 28 Aprile 1966), mi sale proprio il male di vivere di Montale.

Non so come dirlo in modo carino e senza passare per quella che vuole fare la vittimina di questo cavolo, ma non riesco a lasciar andare le persone con cui ho avuto una relazione romantica che io riconosco essere importante.
Se proprio voglio sdrammatizzare, posso tranquillamente dare la colpa al mio ascendente Cancro, ai miei cinque posizionamenti in Toro, alla mia casa sette (la casa delle relazioni) in Capricorno o a chissà quale posizionamento o aspetto strano nel mio tema natale che spiega il perché io sia così, ma la realtà è semplicemente che tutte queste cose possono essere valide in teoria, ma nella pratica le cose sono ben diverse.
Nella pratica so perfettamente chi e cosa mi ha inferto certe ferite emotive, hanno un nome, un cognome e un volto e – ovviamente – non è nessuno dei miei ex.
Come dice “L’equazione” di Gaber, il problema nasce quando siamo piccoli, accade qualcosa a un certo punto che ci manda in tilt tutto il sistema operativo… ovviamente non c’è da dare colpe o puntare il dito, anche perché quel che è fatto è fatto, ma c’è da riconoscere senza voler proteggere nessuno e guardando la situazione con meno filtri possibile (positivi o negativi che siano).

“You want her, you need her
and yet you don't believe her
when she says her love is dead
you think she needs you
and in her eyes, you see nothing
no sign of love behind the tears
cried for no one
a love that should have lasted years
(La vuoi, hai bisogno di lei
eppure non le credi
quando dice che il suo amore è morto
pensi che abbia bisogno di te
e nei suoi occhi non vedi niente
nessun segno d’amore dietro le sue lacrime
pianto per nessuno
un amore che sarebbe dovuto durare anni)”


A prescindere da come vogliono esser letti, questi versi parlano a tutti gli effetti di persona che si rifiuta a tutti i costi di lasciar andare e, anche se alcune delle persone a cui ho chiesto quale sembra essere la reazione che lascia presagire questa negazione mi hanno risposto con un secco “violenza”, io ci vedo qualcosa di ben diverso: per me la reazione a cui lasciano spazio queste parole è l’annullamento totale.
Nei due articoli su “A Day In The Life” che abbiamo pubblicato non troppo tempo fa (qui potete leggere il mio e qui potete leggere quello di Frè) si percepisce chiaramente quanto le canzoni (tutte, ma soprattutto quelle dei Beatles) siano soggettive al 100%, e “For No One” ne è un altro esempio, in quanto lascia intendere che ci siano delle intenzioni, ma dice anche “sta a te capirle, e quelle che capisci tu sono molto probabilmente completamente diverse da quelle che capisce chiunque altro”.
La negazione della fine di un rapporto per me nasce dal pensiero che qualcuno non abbia più bisogno di me e non nel senso figurativo del termine, ma nel senso letterale.
So riconoscere che non devo conquistarmi l’amore di nessuno e con le mie amicizie strette so mettere in pratica questo e tutti gli altri discorsi che loro conoscono bene sul mettere limiti e saper tracciare i confini, ma per quanto io odi fortissimamente ammetterlo, da che ho memoria in questa vita – e non solo – sono sempre stata una persona che ha sempre voluto accontentare tutti e, soprattutto, che è sempre stata al servizio di tutti.
Non sono il tipo di persona che se le chiedi di fare qualcosa la fa anche quando non può, ma proprio per questo motivo quando mi metto al servizio di qualcuno non do solo tutto quello che posso dare, do anche di più. Poche volte mi sono forzata a fare un passo indietro, e comunque anche quando l’ho fatto non è stato per il mio bene, bensì per quello dell’altra parte.

E non fraintendetemi, non è illusione che le cose debbano durare per sempre: non ho mai usato i “se” per parlare della fine delle relazioni ma i “quando”, sono ben consapevole che le cose finiscono ed è più che giusto che lo facciano, ma determinati modi in cui alcune relazioni della mia vita sono arrivate al capolinea mi hanno fatto entrare in uno stato di negazione maggiore, lo stesso di cui secondo me Paul parla nella canzone.
Poi, parliamoci chiaro, questo discorso per me vale ancora e so che per eliminare del tutto questo mio comportamento dalla mia vita ci vorranno ancora settimane, mesi, anni, vite, ma con il tempo e con le esperienze si migliora… soprattutto se le esperienze sono delle persone che fungono da chiave di volta, e molto spesso la chiave di volta equivale al toccare il fondo.
Il mio, di fondo, l’ho toccato con una relazione avuta nel 2020, e sono riuscita a toccarlo solo quando mi sono sentita completamente deumanizzata. Non è durata tanto, ma è stata abbastanza significativa da farla essere una delle relazioni più importanti mai avute.
C’è eccome una “Silvia pre-Lorenzo” e una “Silvia post-Lorenzo” e c’è in molte delle cose che prima facevo e ora non faccio più e viceversa, ma c’è soprattutto nei tempi di reazione che ho quando l’impulso di annullarmi si presenta e rischia di inghiottirmi.

 
L’ho già detto all'inizio dell’articolo e lo ripeto per conferma: questo articolo è particolarmente importante, e si nota anche solo dal semplice fatto che il tempo che sto impiegando nello scriverlo è nettamente superiore al tempo impiegato a scrivere qualsiasi altro articolo inserito in “Pensieri”.
Poiché sono una persona abbastanza rosicona e orgogliosa, ammettere queste cose – così come qualsiasi mio punto debole – non mi fa ovviamente piacere ma anzi, mi fa venire solo voglia di rinchiudermi in camera con le serrande abbassate e non parlare più con nessuno, e poiché mi giudico sempre troppo duramente, in questo momento la vocina nel mio cervello si sta divertendo tantissimo a gridarmi quanto io sia una cattiva persona. È fondamentale però riconoscere tutto questo come non valido, e questo per un semplice e banale motivo: il nostro giudizio nei nostri confronti vale zero e, pensate un po’, vale ancor meno di quello che ci riservano gli altri.
Perché noi, ancor meno degli altri, tutto siamo nei nostri confronti fuorché oggettivi.

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