sabato 28 maggio 2022

#StorieRomane: Primavalle

I non romani hanno la convinzione che basti una settimana o due per visitare Roma, ma come abbiamo detto in diversi articoli, non basterebbe un mese per conoscere la Città Eterna. Ogni quartiere ha la sua storia, le sue peculiarità, le sue ferite, ma non per questo devono finire nel dimenticatoio. Oggi abbiamo scelto di parlare del quartiere Primavalle, che rientra nel Municipio XIV di Roma.

Prima dei romani, tutta la zona a destra del Tevere era sotto il dominio degli etruschi, con villaggi fortificati che vennero conquistati in seguito per finire sotto il dominio dell’urbe. La zona di Primavalle pare fosse abitata da contadini già nel I secolo d.C. Con il declino dell’Impero Romano, l’intera zona andò sotto il dominio del Capitolo in San Pietro in Vaticano. Tra il 1505 e il 1509, quest’ultimo divise la vasta area, facente parte dell’agro romano, in due tenute, rispettivamente: le Tenute di Torrevecchia e le Tenute di Primavalle. La zona che si estende dalla Pineta Sacchetti alla zona di Torresina era la tenuta da caccia dei nobili. Nel 1875, con la promulgazione delle Leggi di liquidazione dell’asse ecclesiastico”, il Capitolo di San Pietro vendette la zona ai privati, che però non la urbanizzarono. Solo nel 1923 la SABA (Società Anonima Laziale di Bonifica Agraria) acquistò dal Vaticano la tenuta di Primavalle e iniziò a costruire dei villini immersi nel verde, perché lo scopo era quello di dar vita alla “Città giardino”, che sarebbe divenuto un esempio per creare “con lo stampino” quartieri simili. Ciò non avvenne, a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, alla cui fine si scelse l’opzione di grandi palazzine, che stravolsero il progetto iniziale.

Nello stesso anno, le Suore della Congregazione delle Figlie Povere di San Giuseppe Calasanzio della beata Celestina Donati ristrutturarono il vecchio Casale di Primavalle per accogliere le bambine di detenuti o le orfane. In seguito, l’Oasi di Primavalle – questo era il nome dato alla costruzione – divenne una scuola. Nel corso degli anni, altre congregazioni religiose si interessarono alla zona, come le suore Orsoline di Madre Urszula Ledóchowska e l'Opera Don Calabria, composta dalle congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza. La zona, nonostante la crescita urbanistica, cominciava già a mostrare problematiche sociali. Nel 1939, infatti, Don Giovanni Calabria scriveva al parroco della comunità religiosa romana: “Credo che il Signore voglia a Roma una succursale di S. Zeno in Monte per le creature abbandonate”. Nel 1942 venne fondato il “Collegino” per accogliere gratuitamente i ragazzi poveri del quartiere, dando loro vitto e istruzione.

Dal 1937, però, con la politica urbanistica di Benito Mussolini, nacquero in questa zona diverse borgate, composte per lo più da sfollati che erano stati costretti ad abbandonare le loro case nel centro di Roma, da Via della Conciliazione ai Fori Imperiali. Nacque così, ufficialmente, la borgata di Primavalle. Negli anni 50 la situazione igenico sanitaria della zona era davvero precaria, tanto che un fatto di cronaca nera, l’omicidio della dodicenne Annarella Bracci, riaccese i riflettori su un problema che era già stato sollevato negli anni Venti: il fatto che la borgata fosse abbandonata a se stessa. Tra il 1950 e il 1960 erano stati costruiti edifici a più piani con una scarsa regolamentazione, con strade strette, carenza di mezzi pubblici e un elevato isolamento per il cittadino. Solo nel 1953 venne inaugurata la derivazione dell'Acquedotto del Peschiera, che portò l’acqua nella zona. Parallelamente alla borgata iniziale, cominciarono a sorgere nuove abitazioni lungo Via della Pineta Sacchetti.
Nel 1961 la borgata di Torrevecchia si staccò dal Suburbio Trionfale, dando vita al nuovo quartiere di Primavalle. Ma negli anni, il degrado rimase, tanto che nel 1973 ci fu quello che venne ricordato come il “Rogo di Primavalle”: alcuni membri di Potere Operaio uccisero due figli del Segretario della sezione locale del Movimento Sociale Italiano Mario Mattei. Quello che era iniziato come un’azione intimidatoria divenne un omicidio che costò la vita a un ragazzo di ventidue anni e a un bambino di otto, che – diversamente dai genitori e dai fratelli – non riuscirono a sfuggire alla fiamme che avevano avvolto la loro abitazione.

Negli anni, i cittadini stessi diedero vita agli “scioperi alla rovescia”: anziché non lavorare, si rimboccavano le maniche e si davano da fare anche nei weekend per dar vita a proprie spese alla vivibilità del quartiere. Sono i cittadini, infatti, a voler dare nuovo animo alla borgata. Come avevamo già scritto nell’articolo “La Street Art e la voce dei giovani”, con la street art si è cercato di raccontare la storia sui muri delle case popolari. L’associazione “Muracci Nostri” ha coinvolto professionisti e commercianti per riqualificare la zona con la rappresentazione di personaggi importanti come Anna Magnani e Gabriella Ferri, ma anche personaggi “comuni” come la Bracci, a cui venne dedicato un parco. Il fatto che questo quartiere rappresenti la periferia della città, non vuol dire che vada evitato, anzi. Siamo convinte che, come ogni città, Roma sia sì arte a cielo aperto, ma che le sue ferite interne non debbano essere nascoste, cercando di non dimenticarle e nonostante tutto dar vita al bello. Se siete appassionati di Street Art, vi basterà scendere alla fermata della Metro A Battistini.

Nessun commento:

Posta un commento