martedì 31 maggio 2022

#Pensieri: Quando il corpo si ribella a se stesso

Le persone a me strette lo sanno bene: ho ventidue anni appena compiuti, eppure sono paradossalmente la più anziana del gruppo e di molti altri miei amici e parenti, sicuramente quando si parla di salute fisica.
Per quanto riguarda le prese in giro amichevoli e bonarie sono la prima a giocarci e a riderci su, e anche se di essere denigrata da esterni poco mi importa in quanto ci sono già passata e ci ho già fatto il callo, ammetto che se i miei affetti dovessero iniziare a prendermi in giro seriamente per i miei problemi di salute non farei di certo i salti di gioia. Aida, Frè e Manu lo sanno bene.

Potrebbe sembrare che a distanza di anni e anni (quasi diciassette, per non dire ventidue pieni) ormai io sia scesa a patti con l’idea che avrò sempre problemi di salute, ma non è così e se non mi faccio problemi a scherzarci su è semplicemente per una mia auto-imposizione: spesso e volentieri le cose sono già abbastanza pesanti di loro, e io non ho interesse nello sparare sulla croce rossa.
Senza contare, poi, che ho sempre nascosto il mio dolore dietro le battute e l’umorismo.

Sono nata l’11 Maggio del 2000, e da che vivo e cammino su questa terra non ho ricordi di un corpo funzionante al 100%.

I problemi più importanti e gravi si sono sviluppati negli anni della mia pre-adolescenza e adolescenza, ma capite bene che se dico di non ricordarmi un momento in cui ci ho sentito con entrambe le mie orecchie, di certo proprio tutto okay non è mai stato. Completamente sorda dall’orecchio sinistro ci sono diventata solo nel 2013, ma comunque per l’80% da quell’orecchio non ci ho mai sentito, e per una ragazzina di sette anni che quando è insieme ai compagni di classe non sente un’acca e non ha i mezzi per mettersi a fare prove quando è in camera da sola per testare la funzionalità del suo apparato uditivo, la soluzione è solo: non ci sento da un orecchio.
Quando poi nel 2013 ho avuto la malattia (di cui non parlerò nei dettagli perché la mia cartella clinica è di più di cinquecento pagine e non me la sento di ammorbarvi troppo) che mi ha portato alla sordità parziale, non ci ho messo molto a rendermi conto del fatto che da quel momento sarebbe stato tutto in salita: dopo essermi svegliata dal coma mi sono resa conto di essere tornata all’infanzia essendo comunque rimasta in un corpo di una tredicenne e arrivare alla conclusione che nessuno dei miei muscoli volontari funzionava più a comando (ho dovuto re-imparare a camminare, ad alzarmi e a sedermi, a prendere gli oggetti in mano, a lanciare le cose o ad afferrarle e a fare la maggior parte delle cose che anche io stessa oggi considero scontate) è stato di fatto uno degli eventi più sconvolgenti dei miei anni adolescenziali.
Questo, così come le cefalee croniche, l’alopecia e i vari problemi ai denti è solo un esempio e potrei andare avanti per ore a parlare di tutti i miei acciacchi, ma in realtà non voglio nemmeno focalizzarmi su quest’ultimi.

Tempo fa ero al Bambin Gesù del Gianicolo per una visita ematologica, e mentre aspettavo, guardavo tutti quei bambini malati (il reparto onco-ematologico non è proprio uno dei più allegri) pensavo a quanto è strano effettivamente avere una malattia: è, di fatto, il corpo che si ribella a se stesso.
Questo pensiero, unito alle ore passate non troppi giorni fa al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I, mi hanno creato una reazione a catena e mi hanno fatto (ri)entrare in un overthinking da cui non sono ancora uscita: perché il corpo decide di ribellarsi a se stesso? Perché il mio corpo non ha mai smesso di farlo e sembra proprio non voler funzionare correttamente? Insomma, ogni volta che fumo sono ben consapevole del fatto che se un domani dovessi scoprire di avere un tumore ai polmoni non potrei lamentarmi, così come non potrei lamentarmi se dovessi scoprire di aver alimentato la mia predisposizione ai trombi, so molto bene che a ogni azione ci sono delle conseguenze, ma quando la persona non fa niente di sbagliato che diritto ha il corpo di ribellarsi? Non è un po’ come gridare al vento?

Odio quando le cose prendono un tono vittimistico, non lo sopporto, ho detto all’inizio dell’articolo che scherzo anche sulle cose che mi fanno male per non diventare pesante e continuerò a farlo, ma dopo l’ennesimo problema di salute nato dal nulla cosmico che mi sto trovando a dover affrontare sto – permettetemi il romano – un po’ a sbroccà.
C’è questa parte di me che vuole capire, deve capire il perché e ha bisogno di rispondere a tutti i quesiti che ho posto poche righe fa, c’è una parte di me – l’Ego, ovviamente – che si incarta costantemente a pensare che non è giusto, che non me lo merito e tutte quelle classiche cose che le persone si chiedono e chiedono a ripetizione quando vogliono effettivamente fare le vittime e rimanere chiuse nel loop deleterio del “ma perché solo a me”, ma c’è una parte di me – che purtroppo quando si parla di salute e malattie non parla sempre – che sa molto bene che 1) non sono l'unica al mondo ad avere dei problemi di salute e 2) non posso avere la presunzione di voler capire il perché di tutto ciò.
Non per ingiustizia, ma perché so molto bene anche che non lo capirei mai perché sono umana, e quindi limitata. Non sono fatta per capire né comprendere il quadro generale, so che l’unica cosa che posso fare è trovare la grazia nell’ingiustizia subita perché vivere odiando il mondo non è un bel modo di vivere e personalmente non rientra nemmeno nella mia definizione generale di vita.

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