martedì 6 dicembre 2022

#Libri: Ho bisogno di me

La dipendenza è una piaga che coinvolge tutti noi, nessuno escluso. Siamo alla continua ricerca di qualcosa che ci faccia sentire bene, e di certo il tempo dedicato allo svago non è un male. Bisogna, però, prestare attenzione quando la sensazione che ci dà quel divertimento diviene la nostra unica ragione di vita.

La dipendenza non riguarda solo il campo della droga, dell’alcol, del gioco… esistono così tante realtà che se potessimo associarle ai colori completeremmo un’intera palette. Dipendenza dal cibo, dipendenza emotiva, dipendenza dal lavoro…
Per noi, che ben sappiamo quanto è facile cadere nel vortice delle dipendenze, l’argomento non è mai stato un tabù; chi sta scrivendo, poi, ha vissuto in prima linea certe tematiche legate all’abuso di sostanze. Vivendo un’esperienza traumatica – ancora non se la sente di parlarne – si è ritrovata in questura a pregare i poliziotti che concedessero al suo aggressore la comunità, invece del carcere.

Non stiamo qui per difendere nessun tipo di reato, meno che mai quando si tratta di violenza, fisica o psicologica che sia; reputiamo che sia giusto pagare per le proprie azioni negative, ma spesso siamo giudici estremi, che si privano della ragione. A volte il carnefice è una vittima, di se stesso, delle scelte che ha preso, dell’emarginazione, di uno Stato assente, della solitudine… ma pur sempre una vittima.
Sono davvero poche le realtà che aiutano davvero chi ne ha bisogno, e la Lautari è una di esse.

Nel libro “Ho bisogno di me”, Giuseppe Spatola raccoglie testimonianze di chi ha passato anni della propria vita in piena schiavitù. Ragazzini di quattordici anni o adulti di quaranta che avevano un solo pensiero in mente: racimolare del denaro per avere la propria dose d’illusione nei confronti di una vita che ci chiede sempre di più.
Badate bene: nessuno vuole incolpare l’esterno per le scelte che prendiamo, ma è anche bene ricordare che non si dovrebbe giudicare, perché come detto prima, ognuno di noi dipende da qualcosa.

Nel quotidiano, noi di 4Muses tendiamo a “tradurre” i comportamenti degli altri facendoli nostri. Vi facciamo un esempio per farci capire meglio: Frè soffre del disturbo d’ansia generalizzato, di depressione e del disturbo ossessivo compulsivo. Non ha mai sofferto di disturbi alimentari, ma parlando con Aida, si è resa conto che certi suoi modi di pensare riguardo al cibo, lei li ha con l’organizzazione, o il tenere tutto sotto controllo.     
Analizzando così noi stessi ci siamo resi conto di tutte le dipendenze che abbiamo e riusciamo, sempre nel quotidiano, a rapportarci in modo sano e concreto – per quanto non facciamo parte dei servizi sociali – con chi ha bisogno di una mano tesa.

Leggendo le storie, scoprendo come hanno iniziato, fin dove si sono spinti e cosa li ha portati a entrare in comunità, scopriamo persone fragili, certo, ma allo stesso tempo forti e determinate, perché fare il primo passo verso il miglioramento di sé è sempre il compito più arduo.
Si sono annientati, feriti, quasi uccisi, eppure la loro fiamma interiore non si è mai spenta del tutto e giorno dopo giorno torna a rafforzarsi, dando loro la luce giusta per guidarli verso un’indipendenza.

Eh sì, perché se è vero che siamo tutti dipendenti da qualcosa, vuol dire anche che l’indipendenza vera e propria non esiste. Dipenderemo sempre da qualcosa o qualcuno: il datore di lavoro, le bollette alla fine del mese, il nostro stesso corpo che a volte ci impone il movimento, altre il riposo.
Allora cosa può davvero servire per riprendere in mano la propria vita?

Avendo passato la depressione più nera, con tanto di tentativi di suicidio, crediamo che la libertà sia avere uno scopo, sentirsi utili, stare al servizio degli altri e avere la certezza che ci sia sempre qualcuno quando avvertiamo i primi campanelli d’allarme del cedimento.
La comunità Lautari ha proprio questi obiettivi nel suo progetto d’aiuto: i ragazzi sono seguiti psicologicamente, ma anche lavorativamente. Escono, lavorano, hanno una loro vita esterna pur rimanendo nella sicurezza di un centro di recupero. È un po’ come se la Lautari fosse il genitore amorevole che sostiene il bambino quando impara a nuotare o ad andare in bicicletta.

“Ho bisogno di me” andrebbe letto in ogni fase della nostra vita, soprattutto quando crediamo di essere soli e di non avere nessuno a cui affidarci.
Andrebbe letto nelle scuole, a partire da quelle medie, per rendersi conto che la droga non è figa, non è una compagna di divertimento, non può neanche essere considerata un aiuto per mantenersi in forza.
C’è solo un modo per abbattere il pregiudizio, figlio dell’ignoranza, ed è la conoscenza, sapere cosa accade oltre il nostro orticello.

Aiutare questi ragazzi non è solo compito di chi li accoglie, ma di tutti noi. Chi vive ai margini, chi compie queste scelte lo fa spesso nel silenzio, eppure non ci accorgiamo che in realtà stanno urlando a pieni polmoni. Aiutarli significa andarli a trovare, comprare i loro prodotti vinicoli, il libro, dare loro sempre e per sempre un’altra occasione.
Ci vuole pazienza, è vero, ma dopotutto, non hanno pazienza anche tutte le persone che sono accanto a noi?     

Della comunità Lautari speriamo di parlare presto in un altro articolo, intanto vi diciamo che è presente nei territori di Brescia, Como, Firenze, Pordenone e Roma.


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