venerdì 16 dicembre 2022

#Venezia79: Bardo - Recensione

Davanti il raggiungimento di un importante traguardo, molto spesso, ci si ritrova a mettersi completamente in discussione. Soprattutto quando si supera la mezza età, uno sguardo al passato è quasi d’obbligo. Alejandro G. Inarritu, regista messicano, è arrivato a Venezia79 con un racconto-confessione su se stesso. Bardo - La cronaca falsa di alcune verità, attraverso il suo protagonista, racconta un punto di vista molto personale per il regista ormai alla vigilia dei sessant’anni. 
Una profonda valutazione personale e creativa che riesce a portare lo spettatore all’interno di un mondo quasi surreale, all’interno del quale verità e fantasticherie si fondono. 

Per poter parlare di questo film, occorre soffermarsi sull’etimologia del suo titolo. La parola trae la sua origine religiosa dal Buddismo Tibetano e individua quello stato intermedio o di transizione tra la morte e la rinascita. Bardo è, dunque, un vero e proprio limbo sospeso all’interno del quale si svolge la profonda analisi personale del protagonista. Un film onirico che, nel corso della sua durata, spinge il pubblico ad assistere a tutti i dissidi che hanno costernato la vita di Silverio (Daniel Gimenez Cacho), giornalista messicano che si è trasferito negli Stati Uniti per poter esercitare la sua professione. 

La narrazione si apre con le ampie falcate con cui Silverio entra in scena: un’ampia zona desertica, probabilmente messicana, che si estende in tutta la sua maestosità e svela la sua solitudine. Porta dopo porta ci si addentra all’interno di tutti gli eventi che hanno caratterizzato la vita del protagonista. Silverio è un uomo un po’ vittima degli eventi e tutte le sue scelte gli passano sotto gli occhi adesso che deve ricevere un importante riconoscimento per ciò che è riuscito a fare in ambito professionale. È un giornalista che convive con lo sradicamento della propria famiglia, ma allo stesso tempo convive con le politiche del paese natale in contrasto con quelle degli Stati Uniti. Un emigrato di lusso che ha vissuto la sua vita nell’agio borghese, ma che deve riuscire a scendere a patti con tutti gli attriti che questi eventi hanno provocato nella propria anima. 

La struttura ondivaga di Bardo riesce perfettamente a far calare lo spettatore all’interno del mondo onirico che Inarritu riesce a costruire. Attraverso gli occhi di Silverio, infatti, riusciamo a vivere una profonda auto-analisi della sua creatività e della sua carriera. Posto all’interno di un limbo fatto di dubbi e di incertezze, il regista si lascia trainare dai traumi che di Silverio stesso. Un nomade all’interno della propria coscienza, una vittima degli eventi, incapace di distinguere ciò che è stato da ciò che non è reale. Un mix di ricordi e di passaggi che mettono a nudo la sua fragilità e i suoi dissidi. 

Netflix ha investito su un progetto ambizioso che riesce, però, a tenere alta l’attenzione dello spettatore. La circolarità della narrazione, infatti, riesce a chiudere un’attenta e profonda analisi personale che riesce a sviscerare il profondo amore e l’odio di appartenenza alla propria terra. Che Bardo sia un limbo, infatti, è ben comprensibile da tutti i piccoli riferimenti della cultura messicana che sono stati inseriti all’interno della narrazione. Non è, infatti, necessario conoscere il significato del titolo, ma basta solo riuscire a cogliere la presenza degli Xoloitzcuientle: i cani senza pelo che accompagnano le anime nell’aldilà.
 
Bardo è un film che sta stretto all’interno del piccolo schermo, infatti la visione in sala da un ambio respiro alla vastità dell’immagine che caratterizza questa pellicola. È un film che visivamente colpisce lo spettatore, proprio per il respiro che è stato pensato nella sua realizzazione. Le riprese giocano con i sensi, l’illusione amplifica questo viaggio introspettivo, l’immagine diviene padrona e permea la cornea di significati. Messico e USA si uniscono in un attaccamento quasi viscerale con la storia che viene narrata. Lo schermo, così, si riempie di riferimenti facili da cogliere se si ha un occhio attento. 
A ciò si unisce la sapiente scelta musicale e l’interpretazione magistrale di Daniel Gimenez Cacho. L’uomo spezzato da dubbi e timori, il costante mettersi in discussione, la creazione di un’atmosfera onirica, sono tutti elementi accentuati dalla sua espressività. 

Bardo arriva sulla piattaforma di Netflix Italia il 16 dicembre.

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