lunedì 5 dicembre 2022

#Racconti: 1883

Attenzione: per questioni legali questo Pensieri è divenuto un Racconti. Ma sempre per questioni legali vi assicuriamo che stiamo scherzando, non è assolutamente una descrizione di ciò che è successo in realtà. Ma dopotutto, cos’è la realtà?

Sembra strano per una che ama il caldo e le giornate di sole afose, ma il mese di novembre proprio non mi dispiace: l’idea di poter mettermi a letto alle cinque del pomeriggio mi dà sollievo. Certo, farei a meno dei numerosi giorni di pioggia, ma devo ammettere che la nebbia non è poi tanto male, anche se effettivamente qui a Roma è solo un leggero velo. Nulla a che vedere con quella padana o scozzese, ovviamente.
Novembre, poi, mi tiene al caldo e mi dà un valido motivo per non uscire di casa. Per carità, sto cominciando ad amare la mia vita, ed effettivamente passeggiare per le vie romane è un’ottima scusa per sfoggiare i miei vestiti vintage, ma anche rimanere sul divano a leggere o sonnecchiare non è per niente male. Può sembrare noioso, e in effetti un po’ lo è, tranne nelle settimane in cui sto assieme ai miei due amici e colleghi: Lucagian e Idaa.

Tutti dicono che lavorare con i propri amici può essere deleterio, ma a me piace, anche se effettivamente abbiamo avuto il nostro caduto in guerra, che Dio lo benedica.
Che poi volete sapere qual è la cosa più difficile effettivamente? Trovare l’ispirazione per la scrittura. Va tutto bene quando bisogna recensire libri, serie tv, film; mi trovo anche a mio agio quando devo parlare di avvenimenti e/o personaggi storici, ma sono sincera: scrivere un Racconto o un Pensieri non è poi così facile; si rischia di impelagarsi in domande tipo: “Ma cosa voglio dire?”, “Dove voglio arrivare?” nel primo caso, poi, sono i personaggi a decidere per te e sì, spesso fanno a arrabbiare: pensiamo a un’Agatha che volevo chiudesse col passato e guardatela, a ottant’anni ancora che amoreggia con Paul! Nel secondo caso, invece, il Pensieri rischia di essere un’accozzaglia di frasi e paragrafi che non hanno molto senso.

«Indizi di un sogno ancora in svolgimento.» Lucagian fissa il suo telefono, con la mano sinistra arriccia i baffi, in pieno stato contemplativo.
Gli vorrei chiedere che significato ha la frase appena pronunciata, ma lascio perdere. Anche Idaa pare fare lo stesso, perché mi guarda, ma poi torna al suo schermo del pc. Starà scrivendo? O armeggiando con Photoshop? Chi può dirlo.
Io invece riprendo a scrivere su questa pagina bianca, non so di cosa, quindi tanto vale descrivere esattamente cosa sta accadendo.
«Sapete,» non so perché stia iniziando a parlare, forse il silenzio rotto poco fa da Lucagian mi ha fatto venire voglia di chiacchierare. «a volte penso che in realtà io non sia mai morta e mai nata. Credo di essere stata una ventenne di fine Ottocento che durante un esperimento metafisico si è catapultata in questi anni, abitando questo corpo.»
«Interessante.» risponde Lucagian. «Volete del caffè?»
«Sì, dai. Però sbrigati.» lo incalza Idaa, ben consapevole dei tempi eterni di lui.
Non so come prendere questo cambio di rotta, ma dopotutto è meglio se nessuno asseconda i miei pensieri.

Alcuni istanti dopo, Lucagian torna con un vassoio d’argento e tre tazzine di ceramica sopra. Ha fatto relativamente presto, forse qualcuno lo ha aiutato. Vannigio, o Ladilà, o semplicemente ha solo scaldato il caffè della mattina, il che vuol dire che avrò presto la colite. Non mi interessa più di tanto, almeno avrò un valido motivo per lamentarmi.
«A volte per comprendere bisogna consumare un buon caffè». Lucagian mi guarda fissa negli occhi, io non sostengo il suo sguardo perché mi inquieta un pochettino, quindi gli rispondo che ha ragione, qualsiasi cosa significhi quello che ha detto.
«Vi dispiace se medito?» so che la risposta è no, ma sono una persona educata, quindi chiedo sempre prima di fare qualcosa che potrebbe suscitare il disappunto altrui. Come mi aspettavo i due dicono no, così mi infilo le Airpods, mentre cerco su Amazon Music la mia playlist per la meditazione senza nome ma con una faccina che inequivocabilmente ricorda Gesù. O George Harrison.

Mi alzo in piedi, catturata da una luce che si spalanca al centro della stanza di Idaa.
«La vedete anche voi?» chiedo alquanto tranquilla, non è la prima volta che vedo una luce.
«Sì, è magia.» Idaa la guarda esterrefatta, non per la sorpresa, quanto perché probabilmente non l’ha mai vista così nitida.
Lucagian si sta tramutando in un gatto, devo guardarlo stranito perché mi chiede cosa mi prende.
«Ti vedo come un gatto. Ma penso sia normale, ogni persona Pesci con la Luna in Scorpione la associo a un gatto, ecco perché in Penny Lane ho dato il nomignolo Kitty a George Harrison.»
«Erf, ma io sono sempre stato un gatto.»
La cosa non mi sconvolge più di tanto.
«Ah, già, vero.»

Ormai dovrebbe essere buio, ma la luce ha illuminato a giorno tutto quanto e il quartiere di San Lorenzo è in festa, perché sento gli abitanti cantare “Montagne verdi”. Vorrei unirmi a loro, ma sento che il Gatto deve dirmi qualcosa di estremamente importante.
«Ragazze.» lo ascoltiamo con attenzione e mi ritorna in mente la serie tv “Sabrina”, quando lei ascoltava il gatto Salem, ma poi faceva come voleva. Solo che questo Gatto non è nero e piccolo, ma grande e con la barba. «Sono qui per dirvi che siete maledette.»
Dovrei esserne terrorizzata, ma in realtà comincio a ridere di gusto, del tutto alleggerita da ogni mio peso.
«Anche questa volta avete sbagliato, l’avete lasciata andare e la maledizione si è compiuta. Morirete ancora per tornare qui ancora. Con lei.»
Ho i crampi alla pancia per quanto sto ridendo, solo quando torno in me vedo Idaa che tenta di mangiare la testa del Gatto.

Sospiro appoggiando la mia testa sulla sua schiena, mentre la riempio di baci e ogni schiocco fa suonare le campane del Vaticano.
Idaa smette di mangiare la testa del Gatto che comunque sta ricrescendo, si raddrizza e inizia con la formula in gallese, che non so perché comprendo in italiano:

“Alla Luce che tutto sa e controlla
all’Uno a cui farò ritorno e ora lodo
al fiore sacro che alla vita apre la sua corolla
vi prego di scogliere ogni mio nodo

Sono stufa di questo eterno tiremmolla
disperazione, delusione, afflizione
metto a loro fine bevendo dalla Sacra ampolla
libero tutti noi da questa eterna maledizione”

Chiudo gli occhi per celebrare il momento, sono d’accordissimo con Idaa, anche se non so bene di cosa e di chi stiamo parlando. Ma il Gatto comincia a ridere sempre più forte, così tanto che siamo costrette a tapparci le orecchie.
Le mura tremano e mi ricordo di quella volta che il fantasma di una donna faceva tremare la cucina di Idaa perché cercava sua figlia dopo i bombardamenti del ’43. Che storia assurda anche quella.
«Non avete capito nulla! Non potrete salvarvi! Siete maledette finché Lei non avrà trovato la sua redenzione.»
Inizio a piangere, non mi piace questa storia e solo ora realizzo che quel caffè non mi ha fatto venire la colite. Allora come ha fatto a metterci così poco tempo? Solitamente ci mette tre quarti d’ora perché contempla chissà cosa.

«Hai messo qualcosa dentro quel caffè?» ma la domanda mi esce come: “Cosa ciera in quel caffè?” la frase di un vecchio meme che una volta faceva tanto ridere e che adesso crea solo imbarazzo quando lo si ricorda.
Il pavimento comincia a creparsi e vedo l’appartamento di quelli di sotto, i due ragazzi carini, ai quali volevamo chiedere di uscire ma che evidentemente da quanto stanno facendo, stanno insieme. Buon per loro.

E poi parole frammentate.

Rarità di attimi che si ripetono in un vortice che dura millenni. Egoismo, tradimenti, delusioni, nuove vite. Dov’è che abbiamo sbagliato? In quale momento ci siamo condannate a tutto questo?

Zavorre. Manette. Legami.
«Lasciaci!» urlo.
«Menzognere!» urla di rimando il gatto. «Un tempo lo cercavate, bramose di salvezza, elemosiniere di un amore che non ha mai saputo dare.»
Comincio a piangere. Non posso ancora condannarmi! Sono passati due millenni.
«Fate le vittime quando siete macchiate del Suo Sangue. Dove eravate quando gridava aiuto? Quando per colpa sua ha volto gli occhi al cielo cercando la forza per lasciarsi andare? E voi a credergli, a dirgli di sì...»
«Ho già chiesto perdono.»
«NON BASTA!» tuona il Gatto, trasformandosi ora in un elefante. L’Elefante ignorato da secoli nella stanza della Memoria.
Io e Idaa cadiamo in ginocchio. Sconfitte.

«Alzatevi.»
Il GattoElefante può stare solo fermo in silenzio ora che la Luce ha preso il corpo di George Harrison, o chi per lui. Ci bacia con dolcezza e amore incondizionato. Il suo abbraccio illumina ogni cellula del nostro corpo.
«State nell’Amore e sarete salvate.»
Chiudo gli occhi ringraziandolo.

Nessuno è perfetto. Tutti hanno la salvezza. Il GattoElefante torna a essere Lucagian.

«Divertente.» ride, tornando a rigirarsi i baffi.
«Interessante.» dico guardando l’alba.
Poi mi volto verso Idaa.
«È finita».

O forse no. Ma almeno è di nuovo il 1883.

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