sabato 10 dicembre 2022

#Pensieri: The Weight

La foto è un riferimento a The Whale
può essere colto solo dopo la visione
del film
Scattata da Francesca Vangieri
Questo è un lento processo. Salite, discese, battute d’arresto. Un percorso che a volte dimentico, a volte dico, altre è così tanto parte di me da essere quasi una colpa.

Ne parlo, spesso, troppo, non lo so quantificare. Ma ne parlo. È una cicatrice sulla mia anima, tre sul mio addome. Ne parlo, ma non lo racconto. Lo dico, ma non lo scrivo. Forse però dovrei imparare a farlo.

Il 9 marzo del 2021 è stato il mio punto zero. Prima Operazione, Dopo Operazione. Sì, una parte di me distingue così la mia vita. È vero, il percorso è iniziato nel 2020 quando ho capito quanto necessario fosse fare una benedetta chiamata nonostante mi spaventasse. Chi mi conosce mi ha sentito dire, almeno una volta, che gli anni della Pandemia sono stati il periodo migliore della mia vita. Perché? Beh… rallentare vuol dire guardarsi, fermarsi vuol dire prendersi il proprio tempo. Ho tradotto l’isolamento come un momento per poter stare con me stessa e conoscere un po’ di più chi io sia.

Pregi e difetti. Parole dette e non. Rapporti andati o trovati.

Mi sono fermata per capire quanto sia importante il rapporto con me stessa e quanto fondamentale sia essere amica mia. In passato mi sono trovata a dire più e più volte, alle persone a cui volevo bene: non so come facciate a essere miei amici, io non lo sarei se fossi in voi. Ed era vero. Non sarei mai stata amica mia. Compagna di una persona che tendeva a nascondersi nelle felpe, che urlava ciò che aveva da dire (non che il mio tono di voce si sia effettivamente abbassato). Non sarei stata la mia personale scelta. Come cambiare allora?

Scattata da Francesca Vangieri
Ho toccato la soglia dei 150kg nascondendo la verità. Mi ripetevo che fosse solo una fase, che poi ricominciava la nuova dieta. Mi pesavo quando ne avevo 130 di chili addosso e mi dicevo che non era possibile avere quel peso, ero stata anche più grossa. Invece salivano, aumentavano, cresceva il mio volume esattamente come la mia voglia di sparire. E so, so che può sembrare paradossale perché contemporaneamente cercavo di far in modo che questo non fosse un ostacolo. Volevo dimostrare che “Nonostante il peso io potessi stare davanti a una telecamera”. Mi sforzavo. O più semplicemente non ammettevo quanto tutto costasse. Alla fine ho visto quel costo. La mia voglia di vivere di notte, di lavorare nel silenzio cittadino, nel fare quando gli altri erano dormienti.

La notte, però, rende i pensieri tossici.

E allora è arrivato quel 9 marzo, ho lasciato parte del mio stomaco al Gemelli e sono ripartita. Un brodo alla volta, un frullato e poi un altro, un morso. Rivedere il rapporto col cibo. Perdere rapidamente, non facilmente, i chili. Per poi arrivare allo stallo, la stasi. Divertente rendersi conto che quel blocco fosse proprio arrivato nel momento in cui mi sono detta: ohi, rallenta… non ti stai più prendendo cura di te.

Questo Pensieri nasce dall’ultima visita fatta in ospedale. Il controllo di routine che i medici fanno per controllare il tuo percorso. Sono uscita dalla fase dell’obesità, ma resta ancora il sovrappeso. E dopo l’incontro è stato dannatamente facile vedere l’errore vanificando tutto il resto. Provare rabbia per ciò che c’è ancora da perdere e non gioire per ciò che si è fatto. Dimenticare di aver già perso la metà fisica e tangibile di te. 60kg sono andati via, ne restano una manciata. Ma quella manciata è stata un macigno. Come se 10kg valessero il triplo di quelli andati. Come se non avessi fatto nulla, come se… come se. Sì, devo ancora lottare e forse in questi mesi lo avevo dimenticato. Si lotta per tutta la vita, non volevo farti questo spoiler Aida.

Un pensiero che in realtà mi porto dentro da un po’, specie dopo la nausea che mi ha provocato la visione di The Whale. Un sussurro per gli altri che per me urla, strepita, scalpita. Una fitta alla bocca dello stomaco, dove la sua presenza è segnata da una cicatrice.

Oggi sarei mia amica. Non perché io sia particolarmente una bella persona, non perché io sia brava, bella o buona. Al contrario, proprio perché non lo sono. Stacanovista, stronza, impertinente, osservatrice, urlatrice… aggiungete l’aggettivo che più vi piace, sarebbe comunque quello più giusto. Perché sono tutto quello che voi sarete in grado di vedere in me, perché sarà quello che io stessa sono in grado di darvi. Vedere The Whale ha sottolineato l’importanza dei traumi che ci portiamo dentro, ma soprattutto ha evidenziato quanto importante sia cercare di osservare il nostro dolore.

Molto spesso non sappiamo da dove il dolore arrivi, cosa ci abbia realmente ferito e quale sia il trauma che lo ha innescato. Non sappiamo dire che cosa ci spinge ad agire in un modo piuttosto che un altro quando queste sono le informazioni più importanti che dobbiamo dare a noi stessi. Mi sono rivista nel personaggio di Brenda Fraser, mi sono fermata e mi sono analizzata dal primo istante in cui ho messo gli occhi su quella pellicola. Ho pianto durante tutta la visione perché una parte di me urlava e scalpitava. Non è mai troppo tardi per amarsi, non è mai troppo tardi per prendersi cura di sé e per impedire che ciò che ci portiamo dentro possa causarci battute d’arresto.

2 commenti:

  1. Le tue parole fanno molto riflettere. Io posso solo dirti che ci conosciamo poco ma da ciò che vedo sei una persona meravigliosa e testarda e sicuramente lotterai per ritrovare te stessa. Dopo ogni caduta ci si rialza più forti di prima💪🏼

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    1. Grazie Mandy, questo commento è molto importante!
      Esporsi non è mai facile, ma ogni tanto è necessario. Sono un po' in dubbio sulla mia testardaggine, ma ci si prova comunque! <3

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