giovedì 23 giugno 2022

#Cinema&SerieTv: Le 7 vite di Léa

Tratto dal romanzo di Nataël Trapp: “7 giorni 7 vite”, “Le 7 vite di Léa” è una miniserie disponibile su Netflix che ci ha tenute incollate allo schermo per una giornata intera.
Sono sette episodi, dalla durata di quaranta-cinquanta minuti e nonostante la serie sia di produzione francese, non ci ha annoiate, tanto che vogliamo ricominciarla per seguirla in lingua originale. (Sì, chi sta scrivendo l’articolo sa il francese, ognuno ha i suoi difetti).
Attenzione: non avendo letto il libro, non possiamo sapere la sua trama, né le differenze che ci sono con la serie tv. Per questo parleremo solo ed esclusivamente della seconda, cercando di non fare troppi spoiler.

Léa (Raika Hazanavicius) è un’adolescente che per sfuggire alla noia della vita e al fatto che non la ama, si dedica a evadere il più possibile, soprattutto mentalmente. A una festa si ubriaca, prende delle pasticche e si allontana dal gruppo per farla finita. Si ritrova sola, in un punto isolato, con una dozzina di altre pasticche in mano, ma si blocca quando cadendo scopre un cadavere.
Più che un cadavere è un vero e proprio scheletro, Léa ne è sconvolta ma lo sarà ancora di più il giorno dopo, quando si sveglia nel corpo di un ragazzo: Ismaël (Khalil Ben Gharbia). È un suo coetaneo, vive nella stessa cittadina, ma Lèa sembra non conoscere nessuno di quelli che si ritrova davanti, fino a quando non scopre di essere tornata indietro nel tempo, al 1991.
Vivendo nel corpo di Ismaël, Léa comprende da subito che è a lui che appartengono le ossa che ha ritrovato, quindi si chiede il perché di questo scambio di corpi. Pensa sia stato ucciso, ma da chi?

Ogni volta che si addormenta, Léa cambia corpo, alternandosi tra il 1991 e il 2021. Scopre che i suoi genitori da ragazzi erano i migliori amici di Ismaël, che con lui avevano un gruppo musicale e proprio come abbiamo già scritto nell’articolo “Cantano i ragazzi”, che la loro adolescenza non è poi così diversa dalla sua.
Non volendo fare spoiler – perché la serie merita di essere seguita – il mistero dell’omicidio/suicidio di Ismaël non è la sola trama che appassiona. I cambiamenti di società degli ultimi trent’anni ci sono sbattuti in faccia, tra ironia e denuncia sociale.
Léa frequenta il liceo nel 1991, dove razzismo, misoginia, bullismo sono gli unici padroni dei corridoi. Prova a empatizzare con tutti grazie all’educazione sentimentale diffusa negli adolescenti di adesso.

Chi scrive e ha visto la serie tv, è stata adolescente nei primi anni del Duemila e si rende conto di avere avuto più cose in comune con gli adolescenti anni Novanta che con quelli di adesso. È sempre un piacere scoprire come i mutamenti siano stati in positivo, seppure, come accennato prima, i problemi, le difficoltà e i dubbi rimangano gli stessi.

Oltre a Ismaël, durante la settimana in cui torna nel 1991, Léa prende le sembianze di altre cinque persone – tra cui i genitori – e questo ci permette non solo di creare i nostri sospetti mentali, ma anche di non giudicare un nostro personale schema passato.
Così come accade in Ordinary Joe, anche qui ci ritroviamo a fare i conti con le scelte di Léa che possono mutare il futuro – quindi il suo presente – ma questa volta il tutto diviene più difficile: lei deve scegliere per gli altri, non conoscendo nulla di loro.

Il tutto sfocia poi nell’amore incondizionato che tanto amiamo – scusate il gioco di parole – ma non aggiungiamo altro perché è veramente uno spoiler con tutte le lettere maiuscole!

Léa non ama la vita, ma si ritrova ad amarla indossando i panni e vivendo in una società così distante da lei. Fa ridere come non sappia, per esempio, utilizzare un telefono fisso o utilizzare il corretto slang dell’epoca. “Le 7 vite di Léa” è per chi ama i thriller, per chi vuole fare un tuffo nel passato e, perché no, per chi vuole cercare il significato più esoterico o metafisico della serie tv!

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