giovedì 16 giugno 2022

#Arte: I colori di Kandinskij

La settimana scorsa, parlando di arte, ci siamo interessate all’Astrattismo e non potevamo non fare dei riferimenti a Kandinskij, il suo capostipite. Oggi proviamo a darvi qualche informazione in più su di lui, cercando di parlarvi della sua teoria del colore e di ciò che lo ha spinto a fare opere di un certo tipo troppe volte non comprese del tutto.

Iniziamo con qualche nozione biografica: Vasilij Vasil'evič Kandinskij nasce a Mosca il 16 dicembre 1866 in una famiglia agiata. Nel 1871 i suoi genitori si separano e va a vivere dalla zia, che sarà colei che lo indirizzerà verso la pittura e l’amore per la musica. Arte e sinfonia andranno molto d’accordo nella vita di Kandinskij, ma non solo, perché l’impronta spirituale sarà ben presente nelle sue opere nel momento in cui abbandona la “chiusura” delle forme della razionalità umana. Nelle sue opere, l’autore si focalizza molto sulla sua teoria del colore, che produce nello spettatore un duplice effetto: uno fisico e uno psichico.

L’effetto fisico è quello che potremmo definire come “meccanico”: l’occhio osserva, il colore si imprime sulla retina che manda poi il messaggio al cervello. È un effetto superficiale, il primo approccio che abbiamo con il colore. L’effetto psichico, invece, va a toccare l’anima, perché produce una sorta di vibrazione spirituale.

In generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente un’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima. E’ chiaro che l’armonia dei colori è fondata solo su un principio: l’efficace contatto con l’anima. Questo fondamento si può definire principio della necessità interiore.”

Pensate al colore rosso: per l’artista è caldo, vibrante, collegato all’energia vitale. Nelle sue sfumature, più tende al chiaro e più è vivace; quando vira verso tonalità più scure si quieta nella mente, diventando qualcosa di più meditativo. Nell’associazione con la musica, il rosso può essere paragonato al suono di una tuba.

Il giallo è un colore più dirompente, più irrazionale, tanto che l’autore tendeva ad associarlo alla musica di una fanfara. È un colore che a Roma definiremo più “caciarone”, ma più superficiale rispetto al rosso.

Il blu e la sua sfumatura di azzurro sono colori apatici, freddi e distanti, esattamente come viene rappresentato il cielo nei dipinti. Nelle versioni più chiare del blu, esso rappresenta la quiete, l’equilibrio, mentre nei toni più scuri ne viene esaltato il lato drammatico. Rapportando il blu e l’azzurro a due strumenti musicali, Kandinskij fa un rimando al violoncello e al flauto.

Nel mescolarsi dei colori primari (rosso, giallo, blu), le loro composizioni raggiungono una sorta di equilibrio. Pensiamo al verde, quindi giallo più blu: è una sorta di quiete appagata. Più sarà tendente al giallo, più ci sarà giocosità; diversamente sarà quando avremo una nota più alta di blu, che tenderà alla contemplazione. Rapportandolo a uno strumento, esso sarà il violino.

E ora veniamo al bianco e al nero. A livello di fisica, essi non sono colori, perché il bianco è la somma di tutti e il nero la loro assenza. A livello pittorico, invece, sono acromatici: il bianco non si ottiene mescolando altri colori (pensate a un prisma che “divide” la luce bianca producendo l’arcobaleno), il che gli permette la definizione di “primario”, mentre il nero nasce dal mescolarsi di altri, quindi “secondario”. Per Kandinskij il bianco è dato dalla somma di tutti i colori dell’iride, ma gli stessi sono scomparsi, lasciando una sorta di silenzio assoluto. Non è, però, qualcosa di nocivo, ma di rinascita: è come il percepire il potenziale di qualcosa che sta per accadere, come la quiete prima che gli strumenti riprendano a suonare. Il nero, d’altro canto, rappresenta un’ombra, come il bianco ma più “pesante”: è come la fine di una sinfonia, il silenzio della morte, ma che, d’altra parte, fa risaltare tutti gli altri colori.

Ma i colori hanno anche delle forme in cui esprimono tutto il loro potenziale: il rosso trova la sua esaltazione nel quadrato, il giallo nel triangolo e il blu nel cerchio.

“L'artista deve cercare di modificare la situazione riconoscendo i doveri che ha verso l'arte e verso se stesso, considerandosi non il padrone, ma il servitore di ideali precisi, grandi e sacri. Deve educarsi e raccogliersi nella sua anima, curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia come il guanto perduto di una mano sconosciuta, una vuota e inutile apparenza. L'artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto.”

E voi cosa ne pensate di questa teoria del colore di Kandinskij? Siete d’accordo?

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