giovedì 2 giugno 2022

#Arte: L'assassino Minacciato

Come avrete ben intuito, noi di 4Muses siamo davvero appassionate dell’arte surrealista, soprattutto delle opere di René Magritte. Abbiamo trattato diversi suoi quadri, ma oggi vogliamo focalizzare l’attenzione su un suo lavoro del 1926: “L’assassino minacciato” (“L'assassin menacé”), olio su tela ad oggi esposto nel Museum of Modern Art di New York.

Nel dipinto possiamo assistere alla scena di un delitto: c’è un corpo di donna disteso a sinistra, in una stanza, mentre il suo probabile assassino è girato verso un grammofono. Alle sue spalle, tre uomini spiano la scena dalla finestra, mentre altri due – con fare minaccioso – sono in primo piano e sembrano pronti a catturarlo, infatti hanno tra le mani una clava e una rete. Magritte era un grande fan della saga “Fantomas”, protagonista dei romanzi francesi di  Marcel Allain e Pierre Souvestre. Si tratta di un criminale spietato, un megalomane trasformista che ha sempre affascinato il pittore, tanto da averlo ispirato per altri due quadri oltre a “L’assassino minacciato”: Il barbaro” del 1928 e Il ritorno di fiamma” del 1943.

L’omicida non ha alcun segno di pentimento, si limita a guardare il grammofono da cui esce della musica. Ha l’aria quasi annoiata, sembra apatico, come se non si curasse affatto del crimine appena commesso. Guarda il grammofono, come se quella donna nuda non avesse soddisfatto le sue aspettative, né da viva e né da morta. Sembra, infatti, cercare un riscatto ascoltando la musica, incurante di ciò che accade intorno a lui. Eppure qualcosa sta per succedere. Tutta la scena è caratterizzata da un sentimento di suspense, in cui l’attimo sembra pietrificarsi sul momento. Gli attori presenti sulla scena sembrano aspettare il momento giusto: Fantomas verrà acciuffato o riuscirà a scappare? La dicotomia di questo quadro sta nel fatto che si contrappongono la dinamicità della movimento che si sta per compiere, quindi tutta la baruffa di una possibile cattura, e la staticità della stanza stessa. La donna è morta, ormai esanime, quindi al pari di un oggetto che non ha possibilità di muoversi. Staticità e dinamicità si fondono in un mix perfetto, in un contrasto che crea una sorta di ansia nello spettatore.

Un elemento che compare molto spesso nella pittura di Magritte sono le montagne, che rappresentano la durezza della roccia, della vita, a volte madre e altre matrigna, a seconda di come l’essere umano stesso si comporta. Le montagne come sempre sembrano tagliare la scena, anche se stavolta appaiono meno aguzze del solito, forse perché il più atroce dei crimini si è già compiuto.

Quello che si presenta davanti agli occhi dello spettatore è come la scena di un film, una fotografia che è stata scattata sull’istante prima che qualcosa si compia. Nei volti dei personaggi non c’è alcuna espressione, tanto da apparire manichini: né l’assassino e né chi deve catturarlo sembrano avere una qualche emozione su ciò che si sta per compiere o che si è appena compiuto. Non c’è rabbia, non c’’è trepidazione, ma semplice accettazione di ciò che è stato e di ciò che sarà.

Come possiamo notare dalla pittura di Magritte, l’autore è sempre stato fortemente legato alla morte. Non era strano, in gioventù, vederlo aggirarsi per i cimiteri. Nel quadro “Gli amanti”, infatti, avevamo visto come il panno che separava i due volti potevano essere due sudari, esattamente come quello che copre il collo della vittima di Fantomas. I dettagli che possiamo notare al centro della scena sono: un giaccone nero, un cappello e una valigia, elementi autobiografici dell’autore. Abbiamo visto gli stessi riferimenti in Golconda, mentre la giacca scura è presente in “Il figlio dell’uomo” e “L’arte di vivere”.

E a voi? Piace quest’opera di Magritte?

Nessun commento:

Posta un commento