venerdì 10 giugno 2022

#Cinema&SerieTv: Brain on Fire

 

“Siete mai stati in trappola? Persi nel vostro stesso corpo, persi nella vostra stessa mente? Persi nel tempo, desiderando disperatamente di scappare? Uscire da lì.”

Su Netflix, tra i film consigliati ci è capitato un titolo che ha catturato immediatamente la nostra attenzione: “Brain on Fire”, uscito nel 2016 e diretto da Gerard Barrett. Nel cast troviamo volti noti come Chloe Grace Moretz (Hit-Girl di Kick Ass), Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia nella saga de “Lo Hobbit”) e Carrie-Anne Moss (Trinity di Matrix Resurrections). Ma di cosa parla “Brain on Fire” (letteralmente “Cervello in fiamme”)?

È la vera storia di Susannah Cahalan, la ventunenne giornalista americana che visse un mese da incubo. Aveva una vita come ogni ragazza della sua età, con tanto di lavoro in una testata giornalistica importante, fino a che il giorno del suo compleanno non comincia ad avvertire dei disturbi strani: il mondo intorno a lei diventa ovattato, i suoni lontani e sconnessi. Con il passare del tempo, la sintomatologia precipita vertiginosamente: comincia ad avvertire degli strani sintomi di natura psicotica, con tanto di allucinazioni, manie persecutorie, vertigini, cedimento e intorpidimento degli arti, voci nella testa, fino a giungere agli scatti d’ira. I medici non hanno una diagnosi, dato che la tac non evidenzia alcun ictus o trombosi. Il suo comportamento sembra riconducibile a una crisi d’astinenza, ma Susannah non tocca alcol da diverso tempo. A cosa è dovuto, quindi, questo suo comportamento improvvisamente incontrollabile? Tutto sembra portare a una diagnosi abbastanza chiara: è folle. La prospettiva nei suoi riguardi sembra una sola ed è il manicomio. Susannah diventa ingestibile, a tratti appare come schizofrenica. Tante diagnosi, nessun risultato. Ma la dottoressa Khan non è del tutto convinta, quindi chiede un consulto al Dottor Najjar. Sarà proprio lui a scoprire di cosa soffra la protagonista con una cosa semplicissima: il disegno di un orologio.

Anche se tratto da una storia vera, non vi diremo il nome della malattia che trasforma Susannah da ragazza normale a una versione “indemoniata” di sé. Eppure questo film spinge a una riflessione: quanti nel corso degli anni sono stati additati come individui disturbati senza fare ulteriori accertamenti? Nel corso della storia del nostro stesso paese, fino a poco prima della legge Basaglia non era strano sapere di individui perfettamente sani rinchiusi in un manicomio. I metodi per curare certe patologie allora erano davvero tremende e se mai avrete la possibilità di fare un salto al “Museo della Mente” di Roma, presso il Santa Maria della Pietà avrete modo di vedere come venivano trattati i malati o presunti tali.

Non era una pratica sconosciuta la scossa elettrica e il più delle volte erano gli individui perfettamente sani che finivano per impazzire per i trattamenti – allora permessi – subiti. Scosse elettriche, privazione della personalità erano solo alcune delle pratiche poco ortodosse che rendevano il soggetto al pari di un’ameba. E in un’ameba si trasforma anche Susannah. Lei è vittima di ciò che il suo corpo le sta facendo, ma che fare quando il nemico è il tuo stesso corpo? Ed ecco che torniamo alla citazione iniziale del film, quella che abbiamo riportato a inizio di questo articolo. Nel caso in questione, sarebbe stato facile attribuire alla protagonista una patologia tra la schizofrenia, disturbo della personalità o afflitta da episodi psicotici, eppure il coraggio e l’impegno di una dottoressa ha permesso di indagare più a fondo, di non fermarsi alla superfice e di cercare la verità, non fermandosi alla prima impressione.

Il film ha una durata complessiva di neanche novanta minuti, ma la performance della Moretz è qualcosa di magistrale. Grazie alla sua interpretazione, seguiamo attoniti alla trasformazione di Susannah, ragazza dolce, simpatica e solare che piano piano perde qualsiasi appiglio con la realtà che la circonda. Sentiamo il fischio nelle orecchie, sentiamo le voci, riusciamo a metterci nei suoi panni mentre la sua psiche sembra andare in frantumi.

Noi vi consigliamo veramente di vedere questo film, non solo perché si tratta di una storia realmente accaduta, ma perché a volte la verità va cercata nel profondo e che non sempre la risposta più semplice sia la più veritiera. Senza l’intervento del dottor Najjar, Susannah sarebbe finita in coma, ma è riuscita a salvarla per tempo. Una storia a lieto fine, ma che lascia un retrogusto amaro: le cose sarebbero andate in una direzione drammatica se non si fosse scavato più a fondo. E voi lo vedrete?

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